sabato 8 marzo 2014

L'Europa dà i compiti pure a Renzi

Matteo Renzi non ha perso l’entusiasmo. Il «buongiorno» arriva alle 6.49 del mattino, ovviamente via twitter: «Al lavoro a Palazzo Chigi sul dossier che presenteremo il 12 marzo». Poi, l’ex sindaco trova anche il tempo di scherzare. E a chi gli chiede se si sia iscritto alla Cgil, risponde: «Tranquillo, è un rischio che non corro». La sensazione, però, è che a pochi giorni dal primo banco di prova (mercoledì dovrebbe esserci un cdm straordinario su debiti Pa, crescita e lavoro, piano casa ed edlizia scolastica) il terreno sotto i suoi piedi non sia così solido.

La prima doccia gelata arriva proprio da Bruxelles, dove il premier solo qualche ora prima dichiarava che «l’Italia non dovrà fare i compiti a casa». Leggendo dell’ipotesi ventilata dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il portavoce del commissario Ue alle Politiche regionali, Johannes Hahn, fa sapere che «i fondi della politica di coesione devono essere utilizzati per finanziare nuovi progetti per lo sviluppo. Quindi non possono essere usati per coprire la riduzione di imposte, come quella legata al cuneo fiscale». Come se non bastasse, nelle stesse ore da fonti Ue trapela la notizia che la Commissione non ha chiesto all’Italia «manovre correttive», ma un aggiustamento strutturale più deciso. Obiettivo che si può raggiungere anche destinando «i risparmi della spending review agli squilibri macroeconomici, invece che all’abbassamento del costo del lavoro».

La sostanza dell’uno-due europeo è che Renzi dovrà trovare altre coperture per il taglio del cuneo di 10 miliardi. Una grana non da poco, che impatta direttamente sul jobs act, l’altro grande tema che il premier intende affrontare mercoledì prossimo. Per Confindustria, infatti, riforma del lavoro e riduzione delle imposte devono procedere di pari passo.
Il concetto è stato ribadito ieri da Giorgio Squinzi al ministro del Welfare, Giuliano Poletti, nell’ultimo round di consultazione con le parti sociali. Una girandola di incontri da cui è finora emerso il nulla governativo sulle misure che tra qualche giorno dovrebbero essere varate. Come già Raffaele Bonanni qualche giorno fa, Squinzi ha spiegato che si è trattato di «un incontro di contatto per avviare un colloquio». Ma di jobs act non si è parlato. Anche perché, ha detto, «non credo ci sia ancora la forma definitiva».

Del resto, lo stesso Poletti giovedì sera a Porta a Porta, dopo aver precisato che su queste materie non si procede per decreto, ha ammesso che ci saranno diverse fasi e che, per ora, più che del famoso contratto di inserimento a tutele crescenti (che riaprirebbe la discussione sull’articolo 18) si tratterà di rafforzare e semplificare l’apprendistato. Insomma, poco più che una correzione in corsa della Fornero.
Quanto al sussidio di disoccupazione universale, il progetto è ancora fumoso. Anche perché i soldi non ci sono. Il piano prevede l’utilizzo dei 7,1 miliardi dell’Aspi e dei 2,4 miliardi della Cassa in deroga, che scomparirebbe gradualmente. Ma sull’ammortizzatore pubblico per il 2014 sono stati stanziati solo 1,7 miliardi e Poletti ha già annunciato che a metà anno la Cig in deroga resterà scoperta. Notizia piaciuta pochissimo al segretario della Cisl, Bonanni: «Servono poche chiacchiere e molta iniziativa. Il governo deve rimpinguare la cassa, perché non si gioca con centinaia di migliaia di persone».

Infuriata è pure Susanna Camusso, per nulla divertita delle nattute «social» di Renzi. «Ci dice di stare tranquilli che non s’iscriverà mai alla Cgil? Io non sono tranquilla», ha detto la leader del sindacato rosso. «Il televoto e il tweet non possono sostituire la partecipazione dei lavoratori e la democrazia», ha proseguito, «credo che questo governo sottovaluti molto il rapporto con le parti sociali».

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