martedì 4 marzo 2014

Alla canna del gas

Non solo energia. Da quando la situazione a Kiev è precipitata il primo pensiero riguardo alle possibili conseguenze per l’Italia è, ovviamente, andato al gas. In effetti, nel 2013 la pipeline che, passando per l’Ucraina, porta il combustibile dalla Russia fino al rubinetto del Tarvisio ha trasportato il 43% dei consumi di gas del nostro Paese, pari a 29,5 miliardi di metri cubi. Malgrado i numeri imponenti, però, la minaccia che potrebbe arrivare dai tubi sembra allo stato assai modesta. Per ora i flussi sono regolari, ma anche nel caso dello scenario peggiore, un blocco totale delle forniture, l’ad dell’Eni, Paolo Scaroni ha spiegato che almeno fino all’estate non ci sarà alcun problema. Anche perché gli stoccaggi, causa crisi, sono ancora pieni al 45%.

Rischi più immediati, invece, sono quelli che potrebbero riguardare le nostre aziende, su cui non a caso ieri si è concentrata una valanga di vendite in Borsa (-3,3% il Ftse Mib). A partire dalle banche, che, dopo quelle austriache, sono tra le più esposte verso l’Ucraina, con circa 5 miliardi di dollari. In prima fila c’è Unicredit, ieri crollata in Borsa del 6,16%, che, attraverso le due controllate riunite in Pjsc Unicredit Bank (435 sportelli, 1 milione di clienti retail e 6.300 corporate), gestisce asset per circa 3,84 miliardi. L’istituto di credito ha chiuso le filiali a Sinferopoli e ha limitato i prelievi bancomat in tutto il paese a 1.500 grivnie (112 euro). Meno delicata la posizione di Intesa (scesa comunque del 4,01%), che a gennaio ha ceduto il 100% della banca Pravex Bank all’oligarca Dmytro Firtash, tra i principali finanziatori di Yanukovich.

Ma i rapporti tra Italia e Ucraina non sono limitati al mondo del credito. L’interscambio tra i due Paesi, stando ai dati Istat aggiornati allo scorso ottobre, ammonta a 3,5 miliardi di euro, cifra un po’ inferiore a quella totalizzata con altri Paesi dell’area centro-orentale e balcanica (come Polonia, Romania, Turchia e Repubblica Ceca), ma in costante crescita. La bilancia commerciale, nel complesso, pende a favore di Kiev, con l’Italia che rappresenta per l’export il terzo mercato comunitario e il settimo al mondo. Ma la presenza delle nostre aziende in Ucraina non è trascurabile. La nostra ambasciata conta circa 300 imprese italiane iscritte nei registri delle autorità ucraine, di cui 140 insediate stabilmente. A cui si aggiungono circa 130 partecipazioni in aziende locali con fatturato superiore a 2,5 milioni di euro. Un bacino industriale che coinvolge circa 9mila persone e produce 680 milioni di fatturato. Moltissimi i nostri marchi presenti. Eni (-2,06% in Borsa), Iveco, Indesit (-4,44%), Pirelli (-3,89%) Alitalia e Ferrero hanno i principali uffici commerciali. Fiat (-2,31%), Maserati, Ducati e Ferrari vendono attraverso aziende locali importatrici. Mentre il gruppo Campari nel 2009 ha acquisito la cantina Odessa Cjsc, dove produce spumante con brand ucraino.

Nel settore delle infrastrutture e delle costruzioni una presenza massiccia è quella di Buzzi Unicem, ieri precipitata a Piazza Affari dell’8,08%, che ha due cementerie a ciclo completo a Rivne e Nikolajev ed è attiva anche nel calcestruzzo preconfezionato. Il gruppo nel 2013 ha registrato in Ucraina 124 milioni di fatturato. Tra le società che hanno commesse in corso si segnalano Saipem, Selex e Salini-Impregilo (-2,24%), che è impegnata nell’ampliamento della autostrada Kiev-Kharkiv-Dovzhanskyy per 216 milioni di euro e della Kiev-Chop per 340 milioni euro.
Nel comparto finanziario l’insediamento più rilevante, dopo Unicredit, è quello delle Generali (-3,31), che operano con Garant Auto, seconda compagnia del Paese, e Garant Life (terza nel ramo vita). Ma la bufera in Borsa, che ha coinvolto tutte le piazze europee, ha travolto l’intero settore: da Ubi (-5,01%) a Bper (-4,50%) e Bpm (-3,74%) fino a Mps (-3,32%) e Mediobanca (-2,91%). Colpite pure Saras (-7,03%), Enel (-3,6%) e, per la questione Sorgenia, Cir (-3,51%).

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