giovedì 6 febbraio 2014

Se la Merkel non cede non c'è euro senza austerity

Viva l'Europa, abbasso l'austerity? Lo slogan, sbandierato con forza martedì dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, può sembrare efficace. In realtà, è poco più di un ossimoro. Almeno finché l'austerity consentirà alla Germania di avere le spalle grosse e di dettare legge nel vecchio Continente. Il legame tra predominio tedesco e politiche restrittive su conti pubblici e moneta è così forte che persino la Spd ha accettato di fare un passo indietro. Il senso del contratto di coalizione siglato dai socialdemocratici con Angela Merkel è infatti che la Spd non disturberà la Cdu sulle politiche europee e finanziarie, che resteranno saldamente in mano al ministro dell'Economia, Wolfgang Schäuble, in cambio di qualche contropartita sulle questioni sociali interne. Una posizione spalleggiata, ingenuamente, anche dall'opinione pubblica tedesca, convinta, come ha detto qualche tempo fa Romano Prodi, «che qualsiasi stimolo a favore dell'economia europea sia un aiuto ingiustificato a favore degli inetti del Sud».

La verità, al di là delle questioni propagandistiche, è che le difficoltà dell'Europa meridionale e periferica provocate dalla severità con cui vengono applicati i vincoli del Patto di Stabilità e dal sostanziale divieto imposto alla Bce di portare avanti strategie monetarie espansive fanno bene, almeno per ora, a Berlino. A sostenerlo non sono gli anti-europeisti in servizio permanente effettivo, ma i numeri degli indicatori economici degli anni della crisi. A questo proposito può essere utile scorrere le pagine del recentissimo studio «Unbundling the Great European Recession» (scaricabile dal sito http://mpra.ub.uni-muenchen.de/53002/) realizzato da Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica all'Università Cattolica di Milano. Il primo dato riguarda il pil, dove l'Italia è orgogliosamente in testa alla classifica con una perdita dal 2008 al 2012 di 86,3 miliardi. Anagrammando le cifre e spostandoci al lato opposto dell'elenco troviamo la Germania, che invece con la crisi ha guadagnato 63,8 miliardi di prodotto interno lordo. La musica cambia poco sul fronte degli investimenti e dei consumi finali (pubblici e privati). Qui il nostro Paese è al secondo posto dopo la Spagna (-132 miliardi), con un buco di 111 miliardi a fronte di 76 miliardi in più collezionati dalla Germania, la quale, nel frattempo, ha visto anche diminuire la disoccupazione, a differenza di tutti gli altri Paesi dell'Unione europea dove le file di senza lavoro si sono ingrossate a dismisura.

Ma a fare veramente la differenza ci sono i saldi delle partite correnti della bilancia commerciale. Malgrado la crisi o forse è più corretto dire grazie alla crisi la Germania negli ultimi sette anno ha registrato un surplus commerciale che viaggia oltre il 6% della richezza nazionale, un valore che viene unanimemente considerato causa di squilibrio per l'area economica europea. Basti pensare che nel territorio tedesco sono affluiti circa 150 miliardi in più l'anno rispetto a quelli in uscita verso gli altri Paesi, di cui solo il 2,5% provenienti dalla Ue e il resto da Paesi extra Ue. Un flusso reso possibile non solo grazie ai consolidati rapporti commerciali della Germania, ma soprattutto grazie ad un euro che per i Paesi periferici è sensibilmente sopravvalutato, ma per i tedeschi è assai più scontato rispetto al potente marco. Il fenomeno è già finito nel mirino degli Stati Uniti, dell'Fmi e, recentemente, persino della Commissione europea. Secondo il dipartimento del Tesoro Usa il costante surplus delle partite correnti ha «provocato uno squilibrio deflazionistico nell'area euro così come nell'economia mondiale». Uno squilibrio che l'austerity europea, riducendo la competitività degli altri Paesi, potrebbe protrarre all'infinito se non fosse che alla lunga un impatto negativo potrebbe esserci anche per la stessa Germania. Secondo il professor Campiglio, infatti, «non è chiaro come può essere sostenibile un modello di crescita basato sull'export per un Paese delle dimensioni della Germania, quando l'esportazione di beni e servizi, in percentuale del Pil, è molto superiore a quello degli Stati Uniti, Giappone e Cina». La cosa chiara, per ora, è che solo un'implosione dell'economia tedesca potrebbe dare uno spiraglio di concretezza ai tardivi auspici di Napolitano di un'Europa senza austerity.

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