Prima la sospensione, poi la compensazione, infine il nulla. Dal cilindro del decreto Destinazione Italia è uscita l’ennesima beffa per le imprese, che nei giorni scorsi avevano sperato in una provvidenziale boccata di ossigeno. Un emendamento presentato in zona Cesarini aveva infatti previsto per tutto il 2014 la sospensione delle cartelle esattoriali per le imprese titolari di crediti con la pubblica amministrazione. La norma sembrava non solo di civiltà, ma anche ben impostata sotto il profilo dei conti pubblici. Se lo Stato deve dei soldi ad un’azienda perché pretendere la stessa ne sborsi altrettanti per il fisco? Sul piano della tenuta del bilancio, in teoria, non avrebbero dovuto esserci problemi: togli da una parte e metti dall’altra. Se non fosse che gli sprovveduti parlamentari delle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera che hanno dato il via libera alla modifica non hanno considerato che la Pa paga i suoi debiti in media con 170 giorni di ritardo. Un tempo eterno, che alle imprese costa qualcosa come 2 miliardi di euro l’anno e allo Stato, evidentemente, vale una cifra altrettanto consistente.
La cosa non è sfuggita alla Ragioneria generale dello Stato, che ha subito bocciato la norma. La sospensione, hanno spiegato i controllori del bilancio pubblico, «comporta minori entrate per il 2014 non quantificate e prive di copertura finanziaria», tali da non far avere alla disposizione «ulteriore corso».
Discorso chiuso? No, perché governo e commissione Bilancio si sono messi al lavoro e hanno tirato fuori un altro coniglio. Invece della sospensione, hanno pensato, si può fare la compensazione. Così non ci saranno possibilità di disallineamenti tra soldi dovuti alle imprese e soldi non incassati attraverso le cartelle. La compensazione, inoltre, elimina una serie di automatismi e opera dunque una selezione tra gli aventi diritto, circoscrivendo di fatto l’impatto economico del provvedimento.
Lo stratagemma, però, ancora non è sufficiente. Per riuscire ad inserire la norma nel provvedimento che ieri ha ricevuto il via libera della Camera il parlamento ha dovuto riformulare il testo aggiungendo la classica clausola «nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica».
Non solo. Il soggetto incaricato di verificare la compatibilità con i saldi di finanza è il Tesoro, che dovrà, «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge», stabilire non solo «le modalità per la compensazione», ma anche «gli aventi diritto». In altre parole, la compensazione scatterà solo quando, tra più di tre mesi, Via XX Settembre avrà deciso a chi spetterà il beneficio e, soprattutto, se ci sono i soldi a sufficienza. Considerato l’andamento dell’economia, con un pil che viaggia su livelli molto più bassi rispetto a quelli previsti dal governo, la risposta alla seconda questione è facilmente intuibile.
Si tratta di un provvedimento, ha subito commentato la Confcommercio, «che oltre a non dare garanzie sufficienti, in quanto occorre comunque attendere un decreto ministeriale per la definizione di criteri e modalità di attuazione - e sono oltre 800 i provvedimenti attuativi di cui si attende ancora l’emanazione - consente anche al ministero dell’Economia la possibilità di porre ulteriori paletti nel caso si renda necessario rispettare l’equilibrio della finanza pubblica». Il nulla, insomma.
Quanto al merito della norma, Confcommercio ritiene «sicuramente condivisibile» l’idea della compensazione, aggiungendo, però, che «per poter dare una risposta certa ed immediata a questa che è una vera e propria emergenza, deve essere estesa a tutte le imprese, non solo quelle che si trovano in una situazione di contenzioso con l’Amministrazione».
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