Altro che meno tasse. Nel testo finale della legge di stabilità il peso dei balzelli sugli italiani nel triennio 2014-2016 è addirittura triplicato, passando dagli 1,6 miliardi previsti dal disegno di legge originario ai 4,6 miliardi previsti nella versione definitiva. A fare i calcoli, sulla base dei dati Bankitalia, Istat e Cer, ci ha pensato l’ufficio studi di Confcommercio, che di fronte ad alcuni timidi segnali di ripresina, che fanno imprudentemente sorridere alcuni esponenti di governo, ha voluto scattare l’impietosa fotografia del Paese strozzato tra crisi e politica. A fronte della valanga di tasse, ha infatti sottolineato l’organizzazione dei commercianti, le famiglie sono sempre più povere, con 18mila euro a testa di ricchezza persa e i consumi fermi (-4,2% nel 2012). Un dato confermato anche ieri dall'Istat.
Un quadro, secondo il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, che impone di «non derubricare ad ordinaria amministrazione quelle che sono le vere e proprie emergenze economiche e sociali del nostro Paese: una pressione fiscale incompatibile con qualsiasi prospettiva di ripresa, elevata disoccupazione, aumento dell’area di assoluta povertà». In questa situazione», spiega Sangalli, «le imprese del terziario stanno vivendo una crisi che sembra non finire mai e sono ormai stremate. Ecco perché chiediamo al governo di avviare subito una certa, progressiva e sostenibile riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese». Secondo l’analisi di Confcommercio, solo per il 2014, la legge di stabilità è passata da una previsione iniziale di maggiori entrate pari a 973 milioni ad oltre 2,1 miliardi, con un incremento di quasi il 120%. Per il 2015, si passa addirittura da una previsione di riduzione del carico impositivo (-496 milioni) ad un aggravio di 639 milioni. «Ancora una volta», tuonano i vertici di Confcommercio, «si conferma l’intenzione di continuare ad utilizzare la leva fiscale per far quadrare i conti pubblici invece di attuare quelle riforme indispensabili per sostenere famiglie e imprese e far ripartire l’economia».
Come se non bastasse, oltre agli aumenti di imposte già messi nero su bianco dalla legge di stabilità, sono in arrivo pure le stangate della fiscalità locale. Grazie al decreto legislativo sul federalismo del maggio 2011 le Regioni si preparano già da quest’anno ad alzare le aliquote delle addizionali Irpef e nel 2015 la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare, con un vero e proprio massacro dei contribuenti. Secondo i calcoli del Sole 24 Ore gli aumenti già deliberati dalle amministrazioni locali (con l’aliquota massima che nel 2014 può salire dall’1,73 al 2,33%) ammontano complessivamente a 500 milioni di euro. La mazzata colpira 9,2 milioni di contribuenti, il 22% del totale, con picchi che riguardano i cittadini di Piemonte, Liguria, Molise e Lazio. Per il prossimo anno la legge prevede la possibilità di alzare ancora l’asticella fino al 3,33%. Nell’ipotesi malaugurata e devastante che tutte le Regioni sfruttino l’opportunità impositiva il gettito dell’addizionale Irpef schizzerebbe ad un livello di oltre il doppio rispetto a quello del 2013, passando da 10,6 miliardi a più di 24 miliardi.
Il combinato disposto di tasse e recessione si abbatterà su un Paese già sull’orlo del baratro. Nel 2012 la ricchezza netta pro capite, composta sia di abitazioni sia di strumenti finanziari, al netto dei debiti, è tornata ai livelli del 2002 perdendo, rispetto al massimo raggiunto nel 2006, oltre 18.000 euro a testa. Il reddito disponibile pro capite, tra il 2007 e la fine del 2013, ha subito una riduzione cumulata di oltre il 13% facendo, anche in questo caso, un grande balzo all’indietro tornando, al netto dell'inflazione, ai livelli della seconda metà degli anni '80.
Dati che trovano conferma nel rapporto sul 2012 diffuso ieri dall’Istat. In un solo anno i redditi sono scesi dell’1,9%, mentre i prezzi sono saliti del 3%, con tutte le conseguenze sul potere d’acquisto, ormai al lumicino. E la crisi è andata a mordere proprio dove qualcosa era rimasto, ovvero al Centro e al Nord-Ovest, che hanno registrato una caduta della ricchezza pari al 2%, contro il -1,6% del Mezzogiorno, già ridotto all’osso. C’è chi ha perso meno e chi più ma non si trova regione che abbia chiuso in positivo rispetto all’anno precedente. Con una ricchezza pro-capite, al netto delle imposte e dei contributi sociali, scivolata nel 2012 a 17.563 euro nella media nazionale. Il valore si alza fino a 22.399 euro nella provincia autonoma di Bolzano, stabile al primo posto nella classifica, mentre scende a 12.265 euro in Campania, ultima della lista.
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