Sul tavolo ci sono i 6 miliardi (che dal 2015 potrebbero diventare 8) appena stanziati dal Consiglio europeo del 27 giugno per l’occupazione giovanile. Ma molti sono pronti a scommettere che al vertice di oggi a Berlino gli annunci e gli slogan saranno di gran lunga superiori alle decisioni concrete. Gli oppositori interni di Angela Merkel, che a fine settembre dovrà presentarsi alle urne per il rinnovo del governo, parlano senza mezzi termini di un «cinico stratagemma». Sottolineando che ora la Cancelliera cerca di assumere la guida della campagna comunitaria contro una disoccupazione che le sue stesse politiche di austerity hanno contribuito a far lievitare in misura abnorme.
Al di là delle schermaglie pre elettorali, il rischio che il summit europeo sul lavoro si trasformi in una inutile passerella dei leader è più che concreto. Non è un caso che all’appuntamento, che inizialmente doveva prevedere la presenza solo dei ministri del Lavoro e i capi di governo e di Stato dei quattro Paesi che a Roma lo scorso mese hanno creato una sorta di cabina di regia sulla questione, hanno prontamente assicurato la propria partecipazione tutti i papaveri di Bruxelles. A cominciare dal presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, fino al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy.
Per preparare adeguatamente la kermesse la Merkel ha concesso un’intervista multipla a sei quotidiani europei, tra cui La Stampa. «Non ci deve essere una generazione perduta», ha detto la Cancelliera, aggiungendo che «in un continente che invecchia questa è una situazione insostenibile». La ricetta, inutile dirlo, è deutschland style. La Merkel ha infatti proposto di prendere spunto dal modello tedesco, in quanto dopo la «riunificazione la Germania ha maturato le sue esperienze riuscendo a ridurre la disoccupazione con riforme strutturali». Guai, però, a pensare a soluzioni con la bacchetta magica. «Niente», ha avvertito il premier tedesco, «può sconfiggere la disoccupazione giovanile in un colpo solo». E neppure sarà sufficiente una «qualunque leva centrale». Per affrontare il problema servono «politiche locali» perché quello che funziona a Berlino può non funzionare a Madrid. La strategia, ha proseguito, dovrà essere quella dei piccoli passi. Anzi, piccolissimi. «Qui dieci posti di lavoro, là sei, lì cinque», ha spiegato la Merkel mettendo prudentemente le mani avanti rispetto ai risultati che potranno essere ottenuti dalle politiche per l’occupazione.
Oltre alla Cancelliera, è naturalmente pronto a sfruttare la passerella internazionale anche il nostro Enrico Letta, che sul tema del lavoro ha fin da subito deciso di giocare gran parte della sua credibilità di leader. Il premier, di ritorno dal tour in Medio Oriente, si recherà oggi a Berlino con i galloni che al vertice europeo gli hanno lasciato appendere sulla divisa per aver ottenuto (anche se la cifra reale degli stanziamenti sarà tutta da verificare nei prossimi anni) un aumento della dotazione italiana da 500 a 1,5 miliardi. Letta ha già fatto trapelare di essere molto soddisfatto che il vertice tecnico sul lavoro si sia trasformato in un grande summit internazionale a cui parteciperanno una ventina di leader europei. Praticamente lo stesso motivo per cui in patria la Merkel viene accusata di sfruttare l’evento in chiave elettorale.
Letta continuerà a rivendicare il ruolo di stimolo dell’Italia nel portare al centro del dibattito il tema dell’occupazione. D’altra parte, si presenterà a Berlino con gli indicatori sul lavoro per la prima volta peggiori della media Ue. A fronte di un tasso di disoccupazione dell’Eurozona del 12,1%, con quella giovanile al 23,8%, il nostro Paese ha infatti raggiunto una quota di senza lavoro del 12,2%. Dato che balza alla percentuale mostruosa del 38,5% per gli under 25.
A scaldare i muscoli per il vertice c’è anche, ovviamente, il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. L’ex presidente dell’Istat ieri ha voluto sottolineare di nuovo il risultato ottenuto dall’Italia al vertice europeo, ma pure lui ci ha tenuto a raffreddare gli entusiasmi, spiegando che «non basterà l’impegno del solo governo». «O è l’intero Paese, che farà questo esercizio, o il peso di 2,2 milioni di neet (i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, ndr) ci porterà a fondo».
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