domenica 4 giugno 2017

Renzi come Totò. Vuole venderci la fontana di Trevi

Non bastavano i prestiti sotto forma di Bot e Btp. Ora gli italiani dovranno pure acquistare pezzi di immobili pubblici per aiutare lo Stato ad abbattere il debito. «Presenteremo un’iniziativa», ha annunciato Matteo Renzi al Sole 24 Ore, «che consenta ai cittadini di avere forme di rendimento sicure e solide anche attraverso la partecipazione ai beni immobili e mobili che costituiscono il patrimonio di amministrazione centrale ed enti locali».
L’operazione, ha assicurato il segretario Pd in perfetto stile Totò (ricordate la famosa vendita della Fontana di Trevi al povero Decio Cavallo?), «è potenzialmente win win». In altre parole, vincono tutti. Lo Stato perché «riduce i costi del debito e aumenta la credibilità del Paese», i cittadini perché potranno avere «una forma di rendimento sicura».
Sul beneficio per lo Stato ci sono pochi dubbi. Quello dei contribuenti, però, è tutto da vedere. L’idea di una grande Siiq pubblica (un fondo immobiliare quotato) a cui conferire gli asset delle varie società del Tesoro che oggi si occupano della valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico (Invimit sgr, Cdp Investimenti Sgr e Cdp Immobiliare) era già circolata un paio di anni fa. Renzi aveva messo sul dossier i due manager della Cassa depositi e Prestiti, Fabio Gallia e Claudio Costamagna. E l’ipotesi fu esplicitamente confermata, alla fine del 2015, dall’allora ad di Cdp Immobiliare, Giovanni Paviera: «Per adesso ci stiamo lavorando internamente, senza l’ausilio di advisor».
Ieri l’ex premier ha di nuovo tirato in ballo la spa controllata dal Tesoro: «La Cdp avrà un ruolo strategico in questo disegno. Stiamo seguendo questo progetto con professionalità di prim’ordine». Di sicuro tra queste professionalità non ci sarà Aldo Mazzocco, che dopo appena un anno come capo del real estate di Cdp, a marzo ha preferito fare rotta verso il porto più sicuro delle Generali. Si diceva fosse lui l'uomo giusto per la grande holding del patrimonio pubblico, ma le cose sono andate diversamente. Nell’ultimo esercizio la Cdp ha dovuto effettuare un taglio sugli asset della controllata Immobiliare portando il patrimonio da 500 a 322 milioni. Una svalutazione seconda solo a quella di 294 milioni (sui 500 investiti) operata in Atlante. E sui conti pesa anche un indebitamento bancario di 750 milioni, tutto ascrivibile alle 14 joint venture di Cdp Immobiliare, che altro non è che la Patrimonio dello Stato spa creata nel 2002 da Giulio Tremonti, poi transitata in Fintecna prima di approdare alla Cassa depositi. Per capire cosa è successo basta leggere il bilancio di Cdp, che definisce il rilevante patrimonio immobiliare in pancia alla controllata «non generatore di alcun reddito, fonte di elevati costi ricorrenti e in gran parte non collocabile sul mercato nello stato di fatto in cui si trova e senza consistenti investimenti». Chiara la posizione del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ieri si è scagliato contro i «luoghi comuni». Quelli secondo cui «ci sono scorciatoie, si può abbattere il debito  domani o si possono ottenere 300 miliardi di introiti dal patrimonio immobiliare».

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