sabato 3 giugno 2017

La Cina rischia l'overdose da energia pulita

È una strana coppia quella che si erge a difesa dell’ambiente globale contro il cinico e insensibile Donald Trump, considerato che ieri Europa e Cina non sono riuscite nemmeno ad accordarsi per uno straccio di dichiarazione congiunta sul commercio internazionale. La realtà è che il patto d’acciaio tra il Vecchio Continente e il Paese asiatico «per favorire l’accordo sul clima e accelerare la transizione globale all’energia pulita» è per Pechino nient’altro che una strada obbligata.

E non tanto perché la Cina, con i suoi 1,35 miliardi di abitanti, il suo primato mondiale di emissioni inquinanti e la sua dipendenza del 70% del fabbisogno energetico totale dal carbone, è sull’orlo di una catastrofe ambientale, quanto perché negli ultimi dieci anni i governi hanno puntato fortissimo sul settore (anche per questioni di sicurezza nazionale legata all’autonomia energetica), con centinaia di miliardi di investimenti pubblici che hanno permesso ai gruppi attivi nelle rinnovabili di conquistare la leadership mondiale sia nella produzione di energia pulita sia in quella dei materiali per gli impianti.
Sul primo versante basti ricordare che dal 2015 la Cina, che già da tempo primeggia a livello planetario per la produzione di energia eolica, ha superato la Germania come Paese detentore della maggior capacità fotovoltaica (44 GW). Volendo fare una comparazione internazionale il Paese del Drago produce la stessa quantità di energia idrica, eolica e solare di quanta ne generano Francia e Germania messe insieme e ha una capacità sull’eolico (145 GW) superiore a quella dell’intera Europa. Mentre il livello domestico di investimenti è il doppio degli Stati Uniti e il quadruplo di quelli del Regno Unito. E l’asticella si alzerà ancora. Rispetto ai 72 miliardi che il governo di Pechino già destina ogni anno alle fonti pulite, la National Energy Administration cinese ha predisposto un piano di investimenti di 361 miliardi di dollari da qui al 2020. Il solo fotovoltaico riceverà 144 miliardi di dollari, l’eolico 101 miliardi e l’idroelettrico 72 miliardi. L’obiettivo, che secondo le stime dovrebbe anche portare 13 milioni di nuovi posti di lavoro, è quello di arrivare al 15% del fabbisogno energetico totale coperto dalle rinnovabili.

Ma la Cina regna incontrastata anche sul terreno dei componenti. Nell’eolico il colosso Goldwin controlla il 12,5% del mercato mondiale delle pale. E tra le prime dieci società del pianeta ce ne sono altre 4 cinesi: United Power (4,9%), Mingyang (4,1%), Envision (4%) e Csic Haizhuang (3,4%). La musica cambia poco sul fotovoltaico (un mercato che nel 2022, secondo le stime, dovrebbe raggiungere un valore di oltre 350 miliardi di dollari), dove il predominio cinese è ancora più schiacciante. Anzi, praticamente assoluto. Il leader mondiale è Trina Solar, con il 10% del mercato mondiale dei pannelli solari. E nelle prime dieci società ce ne sono altre 8 possedute interamente o in partnership da imprenditori cinesi: Ja Solar (8%), Hanwha Q-Cells (6%), Canadian Solar (5%), Jinko Solar (7%), Yingli Solar (5%), Shunfeng-Suntech (3%), Motech Solar (2%), NeoSolar (2%).
Considerato questo scenario, è evidente che una repentina marcia indietro sulla strada della lotta senza quartiere all’inquinamento globale potrebbe rappresentare per la Cina una mazzata fatale per l’economia. Ma guai grossi potrebbero arrivare anche da un semplice rallentamento della marcia. Gli investimenti massicci operati dalla Cina hanno infatti provocato una crescita del settore, e quindi dell’offerta, molto più veloce della domanda. In altre parole, sia gli impianti, sia le società che costruiscono pale e pannelli hanno problemi di sovrapproduzione. In quest’ultimo caso il fenomeno è in atto da diversi anni. La sovracapacità produttiva è il progressivo calo dei prezzi, hanno provocato il crollo dei margini e la crescita dei debiti. Una situazione che ha messo in difficoltà anche pezzi da novanta come la Suntech, che nel 2013 è stata tra le prime società cinesi a dover fare i conti con una procedura fallimento prima del salvataggio da parte di Suhnfeng.

Ma la situazione è difficile anche sul versante dell’eccesso di energia prodotta in casa, dove la congestione e l’insufficienza della rete spesso comportano lo spreco di grandi quantitativi di energia. Secondo il Global Wind Energy Council, ad esempio, nel 2015 molta dell’elettricità prodotta dalla vasta rete di parchi eolici cinesi è rimasta inutilizzata, con uno spreco di 34 miliardi di kilowatt-ora, equivalente all’energia necessaria per alimentare 8,5 milioni di case in Gran Bretagna. Vista la situazione, la Cina sta pensando di esportare energia pulita nei Paesi vicina, come Pakistan, India e Myanmar. Se il sogno ambientalista muore, alla Cina non resterà che spegnere la luce. Nella speranza di non vedere la devastante esplosione della «bolla rinnovabile».

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