domenica 25 giugno 2017

Il governo se la prende comoda sul decreto affossa-risparmio

Alla fine, tra le esigenze dei risparmiatori e quelle del sistema creditizio hanno prevalso gli interessi di bottega. Ovvero evitare che 4 milioni di italiani oggi si recassero alle urne per il secondo turno dei ballottaggi con le prime pagine dei giornali occupate dall’ennesimo pasticcio del governo sulle banche. Dopo una giornata di attesa e di indiscrezione, in serata Palazzo Chigi ha fatto sapere che per il decreto sulla liquidazione delle banche venete ci vuole ancora un po’ di tempo. Il Consiglio dei ministri inizialmente previsto per ieri all’ora di pranzo si terrà probabilmente questa mattina.

Il governo ha tentato di cavarsela spiegando che il provvedimento era stato annunciato per il fine settimana e che lo slittamento è stato provocato solo dalla necessità di limare il testo. La realtà è che dopo un lungo vertice iniziato verso le 16.30 e proseguito fino alla sera, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il premier Paolo Gentiloni, hanno dovuto prendere atto della difficoltà di far andare tutti i tasselli al loro posto e hanno preferito prendersi qualche ora in più piuttosto che uscire da Palazzo Chigi, considerata anche la concomitanza con la tornata elettorale, con un decreto raffazzonato. Anche perché Intesa Sanpaolo, che acquisterà al prezzo simbolico di un euro gli asset buoni di Pop Vicenza e Veneto Banca, ha già chiarito che non vuole sorprese in Parlamento. Il che significa che il testo sarà blindato e approvato a colpi di fiducia, senza spazio per correzioni in corsa. L’esigenza di ridurre al minimo il rischio di eventuali passi falsi, anche sotto il profilo formale, è dunque prioritaria.

Il decreto oltre a garantire «l’operatività bancaria, la tutela di depositanti, clienti e correntisti della banca, come quella degli obbligazionisti senior e junior retail», come ha spiegato il governo, dovrà anche servire per le misure di copertura della bad bank pescando, con una modifica normativa, da quello che resta nel fondo da 20 miliardi varato per Mps. E qui la partita con Bruxelles è ancora tutta da giocare. Il via libera arrivato venerdì sera dall’autorità Ue per le crisi bancarie, che ha autorizzato la liquidazione senza bail in, è infatti solo il primo passo. Spetterà alla Direzione concorrenza della Commissione europea verificare se nel decreto non ci siano aiuti di Stato, a spese ovviamente dei contribuenti. Ipotesi tutt’altro che peregrina, considerato che per rispettare tutte le richieste di Intesa, che vuole ridurre al minimo l’impatto dell’operazione, l’esborso per il Tesoro è stimato complessivamente sui 10-12 miliardi. Tra i nodi principali c’è quello dei 4mila esuberi previsti attraverso prepensionamenti coperti da un rifinanziamento di 1,21 miliardi del fondo di solidarietà bancario. Solo 1.200, però, avrebbero i requisiti nelle due banche venete, mentre gli altri arriverebbero tutti dall’istituto guidato da Carlo Messina.

Un ulteriore costo da mettere in conto riguarda gli obbligazionisti. L’operazione evita infatti il bail in, ma non il burden sharing, ovvero l’azzeramento dei bond subordinati (circa 1,2 miliardi) su cui il decreto dovrà mettere in campo forme di indennizzo per i piccoli investitori simili a quelle già applicate per Etruria & C e per Mps.
Altri miliardi, si parla di 5, serviranno poi a ricapitalizzare le banche commissariate che si faranno carico dei 10 miliardi di crediti deteriorati in pancia a Pop Vicenza e Veneto Banca. Il decreto dovrà anche definire la nomina da parte di Bankitalia dei commissari, tra i quali dovrebbe esserci anche l’attuale ad di Vicenza, Fabrizio Viola. Anche se i due cda delle banche venete non hanno nascosto i malumori per una tempistica che non ha permesso di portare a termine il piano di salvataggio con l’ausilio di capitali privati. Polemiche alimentate anche dall’indiscrezione che il governo non avrebbe preso in considerazione l’offerta arrivata da quattro fondi esteri disposti ad investire nell’operazione.

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