Mentre gli italiani stringevano la cinghia per far quadrare i conti pubblici il fisco si perdeva la metà dei soldi per strada. Se qualcuno ha ancora difficoltà a capire come ha fatto Equitalia ad accumulare dal 2000 al 2016 ben 817 miliardi di crediti fiscali, di cui 765 non più esigibili per vari motivi, è utile sfogliare la delibera 7/2017/G della Corte dei Conti dello scorso 20 giugno relativa agli effetti del contenzioso tributario dal 2011 al 2016, proprio gli anni dell’austerity di bilancio inaugurata da Mario Monti e mai più cessata. Il rapporto, come scrive Italia Oggi, prende in esame gli accertamenti sostanziali emessi dall’Agenzia delle entrate nel quinquennio. Ebbene, su una maggiore imposta accertata di 87,5 miliardi di euro, il 20% è stato definito da cittadini e imprese tramite una serie di strumenti definitivi. Dall’adesione, alla mediazione, fino alla conciliazione giudiziale. Un altro 31,47% è invece finito sui tavoli delle commissioni tributarie, oggetto di contestazioni formali e sostanziali. Si arriva così al 51,47% della somma complessiva.
Resta da capire dove sia finito il resto. Il magistrato contabile Anna Maria Rita Lentini, che ha materialmente redatto la delibera, ha individuato ben 963mila atti silenti. Si tratta, in altre parole di accertamenti rimasti nel limbo, di cui il contribuente si è semplicemente disinteressato, non pagando e non presentando ricorso, e l’amministrazione pure. Tali accertamenti valgono il 48,52% della maggiore imposta non dichiarata e scovata dagli agenti del fisco, ovvero 42,5 miliardi di euro.
Ed ecco che viene il bello. Una volta assodato che il cittadino non ha alcuna voglia di occuparsi dei carichi pendenti, l’Agenzia delle entrate definisce gli atti e li passa ad Equitalia. Nel frattempo, grazie alle sanzioni comminate la cifra lievita di altri 47,8 miliardi.
Si arriva dunque ad un bottino complessivo potenziale di circa 93 miliardi di euro. Soldi che basterebbero a coprire il finanziamento di diverse manovre di bilancio. Se solo fossero incassati. Cosa che chiaramente non avviene. Il recupero delle somme tra il 2001 e il 2016 grazie a versamenti diretti ammonta a 57,5 milioni, ovvero 0,06%. Mentre l’incasso attraverso riscossione da ruoli è di 310 milioni di euro, lo 0,33% del totale. Complessivamente, su 93 miliardi di imposte il fisco è riuscito a portare a casa meno di 370 milioni di euro. E oltre al danno c’è anche la beffa. «Quasi la metà degli accertamenti sostanziali», si legge nella relazione, «non ha effetti positivi per l’eraro e si traduce in costi gestionali improduttivi e future quote inesigibili». In sostanza, invece di rimpinguare il bilancio dello Stato, l’amministrazione del fisco produce oneri aggiuntivi. A carico, ovviamente, dei contribuenti che le tasse le pagano.
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