venerdì 16 giugno 2017

La beffa degli appalti Consip: i costi per lo stato sono più alti

L’Accademia aeronautica di Pozzuoli ha registrato un incremento delle spese di 35mila euro al mese nel 2013 e di 410mila euro l’anno nel 2014. La Scuola sottuficiali di Caserta ha speso 178mila euro in più a semestre nel 2013 e 335mila euro l’anno nel 2014. Per il 28° Reggimento “Pavia” l’aggravio è stato di 363mila euro in un triennio. Sono solo alcuni esempi dell’effetto perverso del modello Consip applicato alla manutenzione degli immobili pubblici: nato per snellire, migliorare e risparmiare ha prodotto sprechi, inefficienze e burocrazia.

A mettere nero su bianco il sostanziale fallimento del sistema dei mega appalti centralizzati, al di là dei profili giudiziari che stanno emergendo dall’inchiesta delle procura di Roma e Napoli, è la sezione di controllo della Corte dei Conti, che la scorsa settimana ha pubblicato un dettagliato rapporto sul Global service immobiliare nelle amministrazioni dello Stato, ovvero l’esternalizzazione ai privati di pacchetti di servizi integrati di gestione e manutenzione degli uffici pubblici. L’obiettivo principale dell’affidamento ad un unico soggetto di attività diversificate è quello di consentire alle amministrazioni «di razionalizzare gli interventi, di eliminare la frammentazione degli stessi e di ridurre i costi di gestione». In altre parole, di avere un servizio migliore a prezzi più bassi. La garanzia dovrebbe essere rappresentata dal «contratto a risultato», una fattispecie introdotta dalla Finanziaria del 2000 nell’ambito delle misure per la riduzione della spesa pubblica. L’ente incaricato di gestire le convenzioni e gli affidamenti per gli appalti di grandi dimensioni  è la Consip, che provvede alla suddivisione dei lotti di gara su base geografica. E qui iniziano i primi problemi.

Dal 2008 l’Italia era divisa in 12 lotti. Dal 2014, con l’ultima convenzione Facility management 4, i lotti sono diventati 18. Un numero, secondo la Corte dei Conti, ancora troppo basso per garantire una vera competizione tra aziende. Nel frattempo, infatti, la torta complessiva è passata da 520 milioni a 2,7 miliardi e il lotto minimo è salito da 28 a 90 milioni di euro. Dimensioni, si legge nella relazione, «poco idonee a garantire una effettiva concorrenzialità tra le imprese partecipanti, penalizzando quelle medio-piccole». E «irragionevolmente lesive», così come stigmatizzato lo scorso marzo pure dal Consiglio di Stato (sentenza n. 1038), «dell’interesse della stessa amministrazione a favorire la più ampia partecipazione di operatori privati al fine di conseguire i maggiori risparmi economici che solo un confronto competitivo ampio può assicurare».
A peggiorare il quadro c’è il fatto che le amministrazioni non sono in grado di «esercitare efficacemente il controllo sull’esecuzione dei contratti», un po’ per la mancanza di professionalità idonee, un po’ perché, con i sub appalti e la moltiplicazione dei soggetti, diventa impossibile «individuare un unico interlocutore». Il risultato, concludono i magistrati contabili, è che la centralizzazione degli appalti non ha portato né «qualità dei servizi» né «effettiva economicità».

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