Centodieci milioni a Genova, 475 a Venezia, 720 alla Lombardia solo nelle ultime 48 ore. Se continua così il governo sarà costretto a varare un’altra finanziaria. A poco più di una settimana dal voto referendario Matteo Renzi continua a girare come una trottola per l’Italia. Ed a ogni tappa tira fuori il libretto degli assegni. Tanto pagano i contribuenti.
Il tour renziano dei cosiddetti “patti” è iniziato la scorsa primavera, con Reggio Calabria (133 milioni), Catania (740 milioni) e Palermo (770 milioni). Poi a maggio è stato il turno di Bari, dove Renzi ha staccato un assegno di 230 milioni, e a luglio del Molise (727 milioni). Ma è con l’autunno che il programma si intensifica. A settembre arrivano 650 milioni per Milano (per un piano complessivo di 2,5 miliardi). A ottobre 332 milioni per Messina e 308 per Napoli. A novembre 680 per Firenze e 168 per Cagliari. Poi, venerdì scorso, Renzi ha siglato con Roberto Maroni il patto per la Lombardia (720 milioni nell’ambito di un piano da 11 miliardi). Mentre ieri è toccato a Genova e Venezia. In dirittura d’arrivo, ora, ci sarebbe Torino, per cui sul tavolo c’è un piano di investimenti complessivi di circa 6 miliardi.
Una montagna di denari (in parte già stanziati, in parte promessi), che il premier elargisce mentre passa da un comizio all’altro per sostenere le ragioni del sì al referendum. Le due questioni si intrecciano non solo, come è ovvio, sotto il profilo della propaganda, ma anche sotto quello sostanziale dei contenuti della riforma costituzionale, che secondo molti penalizzerà l’autonomia degli enti decentrati. «I patti», ha spiegato Renzi da Genova, «sono la dimostrazione che il governo non valuta i progetti, ma aiuta i sindaci a realizzarli. L’esecutivo è accusato di neocentralismo, ma questo metodo di lavoro permette un migliore coordinamento col territorio ed evita al sindaco di fare la navetta tra i vari capi di gabinetto per ottenere quanto previsto».
A tenere banco ieri, nella lunga giornata itinerante del premier che si è conclusa a Roma, con un bagno di folla alla Nuvola di Fuksas, è stata ovviamente la bocciatura della riforma della Pa firmata da Marianna Madia da parte della Corte Costituzionale. Un enorme passo falso dell’esecutivo, secondo le opposizioni, la prova provata della necessità di riformare la Costituzione, secondo il governo. «Vi sembra normale un Paese in cui per passare da 8000 a 1000 partecipate o hai il consenso, non il parere, di tutte le regioni o non si fa?», ha detto il premier, che in mattinata se l’era presa direttamente con la Consulta: «E’ il trionfo della burocrazia. Federalismo non è utilizzare ogni cavillo per bloccare lo sviluppo. Mi sento più tranquillo se a decidere sono i territori piuttosto che i burocrati romani».
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