Il fatto si riferisce al 2005, anno in cui il dibattito sui matrimoni gay era ancora agli albori, ma non quello sulle disparità di trattamento tra le persone sposate e le coppie di fatto. È proprio muovendosi su questo terreno che M.C., in seguito alla morte della compagna, presenta all' Inps una regolare richiesta per usufruire del trattamento previdenziale di reversibilità. La pratica viene respinta, non prevedendo il sistema pensionistico nessun beneficio a favore del convivente superstite. Stesso trattamento subiscono i ricorsi in primo e secondo grado. La questione arriva così in Cassazione. La tesi di fondo è che «attraverso lo strumento interpretativo, l' autorità giudiziaria può, in armonia con lo sviluppo sociale e nel rispetto dei parametri costituzionali, oltrepassare ciò che non è specificamente previsto, offrendo a tutti gli individui forme di tutela e garanzia nel godimento dei diritti e nell' esplicarsi dei doveri». Dopo aver elencato una serie di fattispecie legislative che tutelano la famiglia di fatto, a partire dalle questioni relative alla separazione dei genitori e all' affidamento condiviso, il ricorrente si appella anche «all' obbligo costituzionale di interpretazione conforme dell' ordinamento nazionale ai principi internazionali richiamati dalla Convenzione europea dei diritti dell' uomo».
Ma non c' è nulla da fare. La critica ai giudici di appello di non aver utilizzato lo strumento interpretativo, si legge nella sentenza della Cassazione n.22318 del 3 novembre, è «inammissibile» in quanto non non è stata commessa alcuna violazione di legge, ma un corretto ragionamento logico-giuridico basato sul fatto che la reversibilità per i conviventi non è contemplata dal sistema.
Quanto ai principi internazionali, è vero che la Convenzione europea ha affermato «l' inesistenza di differenze tra la famiglia legittima e quella di fatto», ma solo allo scopo di «eliminare discriminazioni afferenti i diritti fondamentali della persona, fra i quali non può ricomprendersi il diritto alla pensione di reversibilità».
Anzi, la mancata inclusione del convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari del trattamento di reversibilità, secondo i giudici dell' Alta corte «trova una sua non irragionevole giustificazione nella circostanza che il suddetto trattamento si collega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico che, nel caso considerato, manca». L' osservazione ci porta dritti alla nuova normativa. Accanto alle unioni civili per le coppie dello stesso sesso, infatti, che godono di tutele ampie, simili a quelle che scaturiscono dal matrimonio, la legge 76 del 2016 ha anche previsto la possibilità per i conviventi che abbiano formalizzato la loro unione nei registri anagrafici di stipulare un contratto per «disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune». Ma pure questo atto, secondo i giudici, non è sufficiente a dirottare l' assegno pensionistico del deceduto. Tale normativa, spiegano infatti i giudici nel motivare il rigetto del ricorso, «non prevede in favore del convivente more uxorio la pensione di reversibilità».
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