mercoledì 16 novembre 2016

Imboscate sulla casa e nuovo limite ai contanti. Il Pd ci spreme ancora

«Finché sono premier, le tasse si abbassano e non si alzano», ha sentenziato qualche giorno fa Matteo Renzi. Eppure, sotto il polverone dei 5mila emendamenti alla legge bilancio e dei ritocchi imposti dalla Ragioneria al dl fiscale la maggioranza continua a sfornare norme che potrebbero costare care ai contribuenti.

Sembra rientrato, per ora, il blitz con cui il Pd, su suggerimento dell’Anci, ha tentato di stangare nuovamente i proprietari di casa attraverso l’introduzione dell’Imi. L’emendamento alla legge di bilancio, come denunciato da Confedilizia, propone di unificare Imu e Tasi, non solo «confermando che quest’ultima non è una tassa sui servizi, ma una patrimoniale», ma anche alzando il tetto massimo dell’aliquota complessiva. «Attualmente», spiega il presidente dell’Associazione, Giorgio Spaziani Testa, «la somma è al 10,6 per mille, mentre l’emendamento la porta all’11,4. Una soglia che era stata ammessa nel 2015 solo in presenza di detrazioni sulla prima casa» e che il governo ha «inopinatamente» confermato per alcuni comuni sia nel 2016 sia nel 2017.
Di fronte alla valanga di polemiche scatenate dalla proposta di modifica il Pd ha ammesso l’errore e ha fatto rapidamente retromarcia. «Dalle verifiche fatte sull’emendamento relativo all’unificazione in un’unica imposta di Imu e Tasi», ha detto il caporgruppo in commissione Bilancio, «abbiamo appurato che in alcuni casi ci potrebbe essere, anche se lieve, un aumento della tassazione per i cittadini. Per questo abbiamo ritirato la proposta».

A cose fatte, è arrivata anche la strigliata di Renzi, che durante un’iniziativa a Catania ha paragonato l’emendamento al «compro una vocale di Mike Bongiorno», aggiungendo che «sono cose che non stanno né in cielo né in terra». Mentre per prevenire altre fuge in avanti l’ex ministro Maurizio Sacconi ha proposto «una coalizione di scopo a difesa della proprietà per rimuovere l’abnorme peso fiscale».
Ma la sortita sull’Imi non è isolata. Dal folto pacchetto di emendamenti sopravvissuto al vaglio di inammissibilità (cassati 1.500 proposte su circa 5mila) è ad esempio spuntata una tassa comunale da pagare se si sceglie di non sterilizzare il proprio cane. Il nuovo balzello, ha spiegato il primo firmatario Michele Anzaldi (Pd), è finalizzato a combattere il randagismo, che è «un problema sentito dal punto di vista etico ed è anche una questione di carattere economico».
Tra le proposte passate anche quella ribattezzata Airbnb, dal nome del sito specializzato negli affitti stagionali. L’emendamento firmato dalla piddina Silvia Fregolent prevede un Registro unico nazionale per i privati che offrono ospitalità nel loro appartamento (o parte di esso) per un breve periodo, con il pagamento della cedolare secca al 21%.

La misura più clamorosa è, però, quella sui prelievi di contante finita dentro il dl fiscale su cui oggi sarà votata la fiducia. Ben nascosto sotto una serie di misure bonariamente definite di «semplificatzione fiscale» l’emendamento all’articolo 7 del decreto (firmato da moltissimi esponenti del Pd e di altre forze di maggioranza) prevede che qualora si ritirino allo sportello o al bancomat più di 1.000 euro al giorno o 5mila al mese i prelievi vengano automaticamente considerati dal fisco come ricavi in nero e quindi soggetti a tassazione. A quel punto, attraverso una colossale inversione dell’onere della prova, sarà il cittadino a dover dimostrare la provenienza lecita dei soldi. Pur difendendo la scelta di «limitare con le soglie una norma già esistente», il viceministro dell’Economia, Enrico Zanetti, punzecchiato dal giornalista Oscar Giannino su Facebook, ha ammesso che la vecchia norma (Dpr 600 del 1973, art. 32) è «barbara» e «andrebbe eliminata».

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