Aumento medio di 85 euro mensili per tutti i comparti (scuola compresa), ritorno della concertazione, cancellazione della legge Brunetta sui premi. Come ha sintetizzato il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo, «un accordo così solo un anno fa ce lo potevamo sognare». Dopo sette anni di attesa sono bastate sette ore di trattativa per trovare l’intesa sul nuovo contratto degli statali. Che la partita si dovesse chiudere prima del referendum, dove voteranno anche i 3,2 milioni di dipendenti pubblici, lo si era capito da un po’ di giorni. La convocazione a sorpresa del tavolo e le dichiarazioni di Matteo Renzi sulla «fine della stagione dei blocchi contrattuali» la dicevano lunga sulla muscolarità con cui il governo si sarebbe presentato all’appuntamento.
Uscendo dal lungo vertice di Palazzo Vidoni, Marianna Madia ha tenuto a sottolineare che l’accordo prevede «aumenti medi» lordi di 85 euro al mese. Un punto, ha spiegato il ministro della Pa, su cui il governo «ha insistito molto» perché si tratta di un calcolo legato al rapporto tra il numero di dipendenti e le risorse stanziate. Rivendicare la linea della fermezza rispetto alla richiesta dei sindacati di 85 euro di aumento minimo per tutti non cambia, però, i numeri in gioco. Il totale complessivo che servirà per adeguare le retribuzioni, come confermato dalla stessa Madia, richiede un impegno per il triennio 2016-2018 di circa 5 miliardi. Il che significa, considerato che sul 2016 ci sono 300 milioni, sul 2017 e sul 2018 rispettivamente 1,48 e 1,39 miliardi (destinati, però, anche alle assunzioni), che la dote dovrà essere rimpinguata e il costo dell’accordo verrà scaricato sulla prossima legge di bilancio.
Ma non è tutto. Cgil, Cisl e Uil hanno anche portato a casa la demolizione della riforma Brunetta sulla distribuzione del salario di produttività. Spazzata via la logica dei premi assegnati in base al merito, che avrebbe tagliato fuori il 25% dei dipendenti più fannulloni, ora la retribuzione variabile sarà erogata, anche attraverso welfare integrativo, sulla basa di «misure contrattuali che incentivino più elevati tassi medi di presenza». In altre parole, nel regno dell’assenteismo, il lavoratore verrà premiato per il solo fatto di recarsi in ufficio. Altro risultato incassato dalle sigle è un sostanziale ritorno della concertazione. La Pa dice addio agli atti unilaterali, salvo nel coaso in cui ci siano situazioni di stallo che comportino «un pregiudizio». E il governo s’impegna a rivedere il rapporto tra legge e contrattazione, «privilegiando la fonte contrattuale» in «tutti i settori» (salta dunque la Buona Scuola). Anche la riforma della Pa sarà sottoposta alla vigilanza delle parti. La Madia si è infine impegnata a prorogare i contratti in scadenza dei precari. Mentre per gli aumenti saranno evitate penalizzazioni per i circa 200mila statali che potrebbero perdere il bonus di 80 euro in seguito all’adeguamento.
Malgrado la resa, il governo sembra più entusiasta dei sindacati. «Una bella giornata per il Paese», ha chiosato il ministro. Mentre Renzi ha festeggiato con il solito tweet: «Dopo sette anni #lavoltabuona per i dipendenti pubblici».
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