Due miliardi persi solo dal 4 dicembre. Sei dal 30 settembre al 13 dicembre, che si aggiungono ai 13,8 dei primi nove mesi dell’anno. La fuga dei correntisti da Mps ha provocato nel 2016 un buco nella raccolta di circa 20 miliardi di euro. E non è escluso, si legge nel Supplemento al documento di offerta per la conversione delle obbligazioni, «che l’entità dei deflussi possa ulteriormente incrementarsi nel breve termine».
Può sembrare un paradosso, ma sfogliando il prospetto con cui la banca senese dovrebbe invogliare i piccoli risparmiatori a scambiare le obbligazioni con nuove azioni Mps si scopre che l’istituto non solo se la passa male, ma ha i giorni letteralmente contati. Diciassette, per l’esattezza, dopodiché la cassa resta senza un euro. A mettere i numeri nero su bianco ci ha pensato la Bce, che anche per questo ha rifiutato di concedere la proroga all’aumento. Come riportano i documenti approvati dal cda, e bollinati dalla Consob, l’orizzonte temporale indicato da Francoforte per il deterioramento della liquidità, calcolato dal 4 dicembre, è di 29 giorni. Accanto all’emorragia dei depositi, la Bce ha stimato che senza l’aumento la banca a fine anno potrebbe avere un Cet1, componente primaria del capitale, al 9,5% rispetto al 10,75% previsto dallo Srep (la valutazione dei rischi patrimoniali della Vigilanza Ue).
La corsa contro il tempo per evitare l’intervento dello Stato è comunque partita. Le filiali sono ventre a terra per tentare di rastrellare il maggior numero di adesioni tra i 40mila piccoli obbligazionisti che hanno sottoscritto una quota di circa 2 miliardi del bond subordinato da 4 miliardi con scadenza 2018. Mps punta sul vecchio adagio secondo cui al peggio non c’è mai fine. La conversione volontaria verrà fatta ad un prezzo «significativamente» inferiore all’attuale corso azionario (20 euro), ma ad oggi, si legge nel prospetto, «non vi è alcuna certezza che lo Stato intervenga e, ove intervenga, non vi è certezza circa le modalità di tale intervento». In caso di conversione forzosa, prosegue il documento, le condizioni non sono note, potrebbero essere «migliori, uguali o anche peggiori». In caso di azzeramento, l’unica strada sarebbe quella del rimborso pubblico, con tutte le difficoltà che abbiamo visto per Etruria & C. Lo scoglio della normativa Mifid, secondo quanto previsto dalla Consob, è stato superato costringendo gli obbligazionisti ad assumersi tutte le responsabilità dell’operazione con una «dichiarazione olografa» (scritta di proprio pugno). Il periodo di offerta si chiuderà alle 14 del 21 dicembre. A quel punto si faranno i conti. Se non saranno state trovate le risorse necessarie a corprire i 5 miliardi di aumento la palla passerà al governo, che avrebbe già in calendario un Cdm per il 22 dicembre. C’è chi dice che un decreto verrà comunque varato, anche per tentare di evitare l’apertura di altri focolai. A questo proposito ieri la Bce ha chiesto a Veneto Banca un nuovo piano, anche aumentando il taglio delle sofferenze, per mantenere i coefficienti Cet1 e di liquidità entro le soglie previste.
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