martedì 14 giugno 2016

Alla fine se la cava (quasi) sempre

Le indagini, solitamente, lo sfiorano. Come quella, per certi aspetti simile alla vicenda per cui è a processo ad Ivrea, di Vado Ligure. Alla centrale a carbone Tirreno Power la magistratura di Savona attribuisce, dal 2005 al 2010 un numero di morti compresi tra 427 e 675. Il legame forte tra Carlo De Benedetti e l’inquinamento ambientale su cui indaga la procura è di tipo societario. Il 39% della ex centrale Enel fu acquistata nel 2002 per circa 145 milioni e finì in pancia alla Sorgenia, fino allo scorso marzo posseduta dal gruppo Cir della famiglia De Benedetti.

Ma la centrale, hanno fatto sapere dall’azienda quando l’inchiesta uscì sui giornali, a fine 2013, «non è di Carlo De Benedetti, né lui né alcun rappresentante di Cir hanno ruoli in Tirreno Power e Sorgenia non la gestisce in alcun modo». Risultato: l’ingegnere non è neanche indagato. I pm gli passano vicino anche in uno dei filoni d’inchiesta aperti sulle plusvalenze di Borsa realizzate con i titoli delle banche popolari a ridosso del decreto del governo Renzi. Il nome di De Benedetti, stando ad indiscrezioni giornalistiche, sarebbe spuntato in una informativa della Gdf consegnata alla procura di Roma. Al centro della vicenda ci sarebbero i guadagni ottenuti dalla società Romed facendo trading sui titoli di quattro popolari. Immediata e secca, anche in questo caso, la replica: «Nessun abuso di informazione privilegiata c’è stato da parte della Romed, società di cui Carlo De Benedetti è azionista ma in cui non ricopre più alcun incarico, né tantomeno da parte sua».

Le inchieste andate a segno, invece, l’imprenditore non le ricorda. Come il patteggiamento per alcuni bilanci poco chiari della Olivetti dal 1994 al 1996. «Ha memoria di una sentenza pronunciata dal gup di Ivrea in data 14 ottobre 1999 e passata in giudicato il 22 novembre 1999?», chiede nell’aprile del 2015 il legale di Marco Tronchetti Provera nell’aula del tribunale di Milano durante un processo per diffamazione. «No. Non mi ricordo, evidentemente era irrilevante perché è finita nel nulla», ha risposto serafico l’ingegnere. E invece, ha spiegato l’avvocato, «è finita con una condanna a tre mesi di reclusione per falso in bilancio, poi con la conversione in pena pecuniaria per circa 50 milioni di lire».

La scarsa memoria di de Benedetti non è stata un’arma vincente nel procedimento avviato contro il patron della Pirelli, accusato di avere infagato la reputazione dell’imprenditore in un’intervista radiofonica. La causa per diffamazione contro Tronchetti Provera si è conclusa nel settembre 2015 con una assoluzione con formula piena «perché il fatto non sussiste». E il processo si è rivelato un vero e proprio boomerang, perché nel corso del dibattimento sono riemerse molte vicende che l’ingegnere non ama ricordare. Non tanto la residenza fiscale in Svizzera, presa dal gennaio 2015, né l’uscita burrascosa dalla Fiat, quanto il coinvolgimento nel crac del Banco Ambrosiano.
Malgrado l’assoluzione in Cassazione, infatti, De Benedetti fu condannato in primo e secondo grado per concorso in bancarotta fraudolenta. Più conosciuto il suo passaggio in Tangentopoli, con il memoriale consegnato nel 1993 al pool di Mani pulite e l’ammissione di aver pagato tangenti per 10 miliardi di lire ai partiti per alcune commesse della Olivetti a Poste. La vicenda si è conclusa senza troppi traumi: una assoluzione, una prescrizione e un arresto lampo di poche ore. La scarcerazione fu firmata dal gip Augusta Iannini, che solo qualche giorno fa ha dichiarato: «Su quella circostanza nel tempo ho maturato una diversa convinzione».

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