giovedì 15 ottobre 2015

In mezza giornata di fatica i partiti si regalano 45 milioni

Sono bastate circa tre ore per portare a casa il voto finale. Nessuna vergogna, anzi. Illustrando il provvedimento calendarizzato d’urgenza al Senato per sbloccare i 45,5 milioni di soldi per i partiti e azzerare qualsiasi controllo sui bilanci  il relatore piddino Miguel Gotor ha parlato di «dignità», «trasparenza», «giustizia». L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, ha spiegato, «è il provvedimento che reputo il più grave e contraddittorio varato nell’attuale legislatura per i costi che comporterà nel medio periodo sul corretto e sano funzionamento della democrazia italiana». Togliere i soldi alla politica, ha proseguito il senatore del Pd, significa «lisciare ipocritamente il pelo all’opinione pubblica alimentando una condanna generalizzata e indiscriminata che equipara i partiti ad associazioni a delinquere».

Di qui la necessità di far diventare legge in fretta il ddl Boccadutri che, con la scusa della carenza di personale della Commissione di controllo dei rendiconti dei partiti, «differisce il termine della verifica al giugno 2016» e consentirà anche ai finanziatori privati di restare anonimi, in barba alla trasparenza e alla tracciabilità dei finanziamenti.
Ora che il provvedimento è legge   i partiti (tranne il Movimento 5 stelle che ha rinunciato) potranno tranquillamente spartirsi i loro milioni, senza neanche il disturbo di avere i bilanci in regola. I grillini, ovviamente, non sono rimasti a guardare neanche questa volta. Durante la prima lettura alla Camera, agli inizi di settembre, avevano lanciato nell’aula finte banconote da 500 euro.

Ieri, a Palazzo Madama, dove per non intralciare il cammino del ddl si è addirittura votata un’inversione dell’ordine del giorno, si sono presentati con un grosso cartello a forma di bancomat con su scritto «Boccadutri Card» e hanno sventolato una serie di fac simili con la stessa intestazione. Matteo Renzi, intervenuto in aula per presentare il summit europeo di oggi, non ha gradito. «Il Consiglio Ue affronterà temi rilevanti, che difficilmente si possono prestare a pagliacciate di questo genere», ha detto infastidito il premier, «invidio chi non si rende conto della complessità dei temi di cui stiamo parlando».
Immediata la risposta del M5S. «L’unica pagliacciata che vediamo è quella di un Presidente del Consiglio che mentre parla di immigrazione in Senato, atteggiandosi a grande statista, fa finta di nulla sulla porcata che il suo Pd si appresta a votare tra poco in questa stessa Aula», ha replicato il capogruppo Ganluca Castaldi.
La seduta è poi scivolata nella solita bagarre, con insulti e urla. Sugli specchi la difesa del Pd. «Evitare i controlli?», ha detto il senatore piddino Mauro La Barba, «il ddl fa esattamente il contrario: assegna risorse umane perché i controlli vengano fatti».

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