Il governo alla fine ha dovuto mettere una toppa dichiarando «l’immutata stima» nei confronti del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi. Ma la deflagrazione è solo rimandata. Le esternazioni continue di Lady Fisco, unite al caos totale in cui versano gli uffici tributari in seguito alla sentenza della Consulta sui 767 dirigenti illegittimi e alle polemiche politiche sull’aumento della soglia del contante, hanno innescato una bomba ad alto potenziale.
A gettare un po’ di benzina sul fuoco ieri, proprio mentre il Corriere diffondeva la notizia di un maxi ricorso di 400 ex dirigenti delle Entrate contro la decurtazione dello stipendio, ci ha pensato Enrico Zanetti, sottosegretario all’Economia con delega sulle agenzie fiscali. Se la Orlandi, ha spiegato l’esponente di Scelta Civica a Repubblica, «continua a esternare il suo malessere e a dire che così l’agenzia muore le dimissioni diventano inevitabili».
Le parole del sottosegretario in un primo momento non trovano argine né a Palazzo Chigi, peraltro vuoto per la trasferta del premier in Sudamerica, né a Via XX Settembre, bensì nella sinistra Ds (in prima fila Roberto Speranza) e in Sel, che con la Orlandi condividono l’insofferenza per le misure troppo soft del governo contro l’evasione.
L’assalto a Zanetti, accusato di strizzare l’occhio ai furbetti del fisco, si trasforma rapidamente in una polemica destabilizzante per l’esecutivo, alle prese da una parte con le misure sul contante, che avranno bisogno della maggioranza in Parlamento, e dall’altra con una amministrazione sempre più fuori controllo, come dimostrato dallo sciopero bianco della Ragioneria dello Stato sulla legge di stabilità. Senza contare che dietro gli affondi della Orlandi c’è un braccio di ferro con il ministero sulla questione degli ex dirigenti (per cui si chiedevano soluzioni più rapide del concorso) che va avanti da mesi.
Il comunicato dell’Economia arriva mentre l’incendio divampa. Pier Carlo Padoan sottolinea «il contesto di immutata stima» verso la Orlandi e «il ruolo cruciale» dell’Agenzia, che il governo vuole «salvaguardare». Il che sembrerebbe un altolà a Zanetti.
Allo stesso tempo, però, il ministero ribadisce il suo impegno prioritario nell’attività «di rafforzamento organizzativo e operativo dell’Agenzia» e nel contrasto all’evasione. Affermazioni sostenute da un corposo elenco di misure per ammodernare la macchina del fisco e rendere più complicato sottrarsi agli obblighi tributari: dall’attuazione della delega fiscale al 730 precompilato fino alla fatturazione elettronica e alle misure di inversione sul pagamento dell’Iva. Senza dimenticare tutti gli accordi bilaterali e multilaterali contro l’evasione internazionale.
Infine, Padoan ricorda anche «l’incrocio delle banche dati grazie al quale l’Agenzia può segnalare ai contribuenti problemi di adempimenti prima di attivare il processo sanzionatorio». Cosa che sta avvenendo proprio in questi giorni con le lettere inviate a 500mila contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi pur avendone l’obbligo. Sulle lettere, celebrando la svolta provocata «dall’innovazione della precompilata», si è soffermato pure Renzi da Lima, senza mai, però, citare la Orlandi. Del resto è stato proprio lui, nell’ambito di uno sbandierato rinnovamento dei vertici della Pa, a nominare il nuovo direttore nel giugno del 2014.
Cosa che rende un’eventuale defenestrazione assai complicata. Ma il caso è aperto. La sinistra Pd e Sel sono in trincea. E Zanetti non molla. Il sottosegretario ha preso atto della posizione del Mef, ma ribadisce anche che «ora l’unico tema centrale è politico». «Abbiamo chiesto», spiega a Libbero, «un chiarimento a Padoan e a Renzi. Se la direttrice insisterà col difendere un sistema burocratico che non siamo noi a bocciare ma che è stato già censurato dalla Corte Costituzionale significa che si esprime politicamente. Libera di farlo ma non dalla poltrona su cui siede».
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