sabato 3 ottobre 2015

Eni e Scaroni prosciolti, ma per l'Algeria è tardi

A dipanare la matassa dell’affaire Saipem Algeria ci penserà il tribunale di Milano, durante il processo che comincerà il 2 dicembre. Una certezza, però, è già emersa. Paolo Scaroni e l’Eni con la presunta maxi tangente da 198 milioni per «oliare» appalti petroliferi da 8 miliardi tra il 2007 e il 2010 non c’entrano nulla. Ieri il gup Alessandra Clemente ha prosciolto dalle accuse di corruzione internazionale sia l’ex ad, sia l’ex responsabile della società per il Nordafrica, Antonio Vella, sia il Cane a sei zampe, indagato per la legge 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Per il giudice milanese la vicenda merita sicuramente di essere approfondita. Per la controllata Saipem, gli ex manager e i funzionari algerini coinvolti è infatti arrivato il rinvio a giudizio. A processo andranno l ’ex direttore operativo, Pietro Varone, l ’ex direttore finanziario, Alessandro Bernini, l’ex ad di Saipem, Pietro Franco Tali, nonché Farid Noureddine Bedjaoui, fiduciario dell ’allora ministro dell’energia algerino, Samyr Ouraied, uomo di fiducia di Bedjaoui, e Omar Habour, considerato riciclatore del denaro delle presunte tangenti. Mentre per un altro sospettato di aver riciclato le somme, Yam Atallah, è stato disposto il proscioglimento per difetto di giurisdizione.
Ma il convincimento dei pm Fabio De Pasquale (noto per numerose inchieste eccellenti, tra cui quelle a carico di Craxi, Cagliari e Berlusconi), Giordano Baggio e Isidoro Palma, che chiedevano il rinvio a giudizio di tutti gli indagati ritenendo i vertici del colosso petrolifero a conoscenza dello scambio di mazzette, non ha trovato il sostegno del gup Clemente, che ieri ha anche ratificato il patteggiamento a due anni e dieci mesi, dell’ex presidente Saipem Algeria, Tullio Orsi.

Per Scaroni e l’Eni, a meno che la procura non decida di insistere chiedendo il ricorso in Cassazione, finisce un calvario iniziato oltre due anni fa, nel febbraio del 2013. Una pioggia di sospetti, accuse e addebiti rimbalzata freneticamente dalle pagine dei quotidiani nazionali ai mezzi d’informazione di mezzo pianeta. Con conseguenze pesantissime sia per il manager sia per il gruppo, che ieri ha subito espresso «soddisfazione per il provvedimento di non luogo a procedere». Anche i legali di Scaroni, che ha sempre smentito qualsiasi interesse diretto nelle vicende di Saipem, si sono affrettati a ribadire «l’innocenza» del proprio assistito.
Ma due anni di fango sono tanti per una multinazionale come Eni, tra l’altro la più grande azienda italiana, che fonda gran parte del suo business sui rapporti con le autorità internazionali, dove la credibilità e l’affidabilità sono tutto. E due anni sono tanti anche per l’ex manager, considerato che solo pochi mesi dopo la richiesta di rinvio a giudizio, arrivata nel febbraio del 2014, il premier Matteo Renzi ha messo mano alla grande tornata di nomine di tutte le partecipate dello Stato. Comprese quelle dell’Eni, dove Scaroni dopo nove anni ha dovuto lasciare il posto all’attuale ad Claudio Descalzi, all’epoca direttore operativo della divisione Exploration & Production.

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