Tagli, sforbiciate, azzeramenti. Da un po’ di anni i politici non perdono occasione per annunciare la fine degli incentivi alle energie rinnovabili. C’è chi assicura di averli spalmati su più anni riducendone il costo per la collettività. Chi sostiene di aver chiuso definitivamente i rubinetti. Eppure, ogni anno i soldi sono sempre lì. Ben nascosti nella bolletta della luce all’interno dei cosiddetti “oneri di sistema”. È qui che si trova la componente A3 (che rappresenta la quota più consistente degli oneri) dedicata a finanziare sia l’incentivazione del fotovoltaico sia il sistema del Cip6 per le fonti rinnovabili e assimilate. Un inghippo, quest’ultimo, che permette anche a chi di mestiere fa il petroliere di accedere ai benefici previsti per chi aiuta l’ambiente.
La torta complessiva degli incentivi compresi sotto la voce A3, secondo gli ultimi dati disponibili del Gestore per i servizi elettrici aggiornati a fine 2014, vale 13,4 miliardi. Il grosso degli aiuti, spalmati o no, va ancora alle aziende del fotovoltaico. Circa 3 miliardi servono invece ad alimentare il mercato dei certificati verdi, un sistema che sembrava l’uovo di Colombo per far pagare alle aziende più inquinanti il sostegno a quelle più pulite e invece viene scaricato ancora sulle spalle dei cittadini. Altri 1,4 miliardi vanno invece nelle casse delle aziende che hanno stipulato negli anni passati le convenzioni Cip6.
Il bello, come si diceva, è che questi quattrini non vanno solo alle società che effettivamente producono energia da fonti rinnovabili. Ma anche a quelle che operano con fonti «assimilate». Una dizione inventata nel 1982 sotto il governo Spadolini e poi ripresa dalla delibera del Comitato interministeriale prezzi del 1992 (sotto il governo Amato) che ha dato avvio alla giostra. L’intento era quello di favorire l’energia alternativa. Il risultato è stati, invece, di gonfiare le tasche di chiunque riesca a dimostrare di aver risparmiato all’ambiente un po’ di emissioni nocive. Tra i beneficiari degli incentivi Cip6 ci sono gli impianti di cogenerazione, quelli che utilizzano calore di recupero, fumi di scarico e altre forme di energia recuperabile in processi produttivi, compresi gli scarti di lavorazione delle raffinerie oppure i rifiuti bruciati nei termovalorizzatori.
Sono proprio queste rinnovabili tarocche ad aver fatto la parte del leone nella raccolta degli aiuti. Secondo i dati del Gse dal 2001 al 2013 questi incentivi sono costati agli italiani, tutti ambientalisti a loro insaputa, oltre 25 miliardi di euro. Un regalo che per circa il 70% è finito alle aziende che producono energia da fonti assimilabili. La cuccagna prima o poi finirà. Dal 2007 è iniziato un tira e molla legislativo che, dopo una serie di proroghe e cambi in corsa, ha chiuso dal 2010 l’accesso a nuovi incentivi. Ma la strada è ancora lunga. Le convenzioni Cip6 possono infatti durare anche 12 anni. E andranno tutte a scadenza. Tranne quelle che ci sono già andate in anticipo, grazie ad un meccanismo dalla dubbia efficacia che ha permesso solo alle fonti assimilabili di uscire prima dalla partita ricevendo subito tutto il malloppo, con uno sconto del 6%. L’opzione, che doveva durare pochi mesi, è invece arrivata, sempre grazie ad una serie di proroghe, fino allo scorso settembre. Molti hanno approfittato della ghiotta opportunità, considerato anche che, su suggerimento dell’Autorità per l’Energia, è stato finalmente introdotto un metodo di calcolo dell’incentivo più in linea con i prezzi di mercato dell’energia e leggermente meno oneroso per le bollette dei cittadini.
Ma tanti altri sono rimasti comodamente in attesa dell’obolo annuale a spese nostre.
Grazie ad un’operazione trasparenza promossa dal Gse da oggi è anche possibile sapere chi. Il Gestore che si occupa di erogare le risorse che transitano sulla componente A3 ha infatti deciso di rendere pubblici tutti gli incentivi distribuiti anno per anno. Tra i primi a finire in vetrina, nella sezione Open Data del sito www.gse.it, sono stati proprio gli impianti, i soggetti beneficiati e gli importi percepiti del Cip6.
Gli elenchi pubblicati si riferiscono al 2014 e ai primi 9 mesi del 2015. In testa alla classifica, tanto per avere un’idea della distribuzione degli aiuti, c’è Sarlux entrambi gli anni, che ha ricevuto complessivamente 896 milioni di euro. La società è una controllata della Saras della famiglia Moratti attiva nel settore della raffinazione. E nelle prime posizioni c’è anche la Rosen Rosignano Energia, una centrale di cogenerazione costruita da Electrabel per fornire energia elettrica e termica allo stabilimento chimico della Solvay. Nella lista ci sono tanti altri, dalle piccole società ai colossi dell’energia, come A2A, Acea, Enel, Edison, Hera ed Erg. Ma la musica, malgrado l’uscita di molti «intrusi», non è cambiata. Nel 2014 su 68 impianti incentivati, secondo il Gse, sono solo 2 quelli che producono da fonti assimilabili. A loro, però, vanno ancora 907 milioni, il 66% degli aiuti distribuiti.
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