Anche qualche settimana fa, da Cortina, Giulio Tremonti non aveva lesinato le bordate: «L’esecutivo è andato in Europa e ha detto i risparmi che faceva, ma non ha detto i costi che avevano gli esodati. Siccome il costo degli esodati è maggiore del risparmio, si è attivata una meccanica per cui in Parlamento si sta già smontando la riforma delle pensioni».
Ieri l’ex ministro dell’Economia è tornato all’attacco. E nel mirino resta sempre Elsa Fornero. Secondo il tributarista di Sondrio, infatti, è tutto pronto («troppi dati sono già negativi») per l’esplosione di un «caso esodati bis». A finire in mezzo alla strada, questa volta, non sarebbero i pensionandi finiti nella trappola dei nuovi requisiti per accedere ai trattamenti previdenziali, ma i lavoratori a termine e i precari. Tipologie di lavoro su cui si abbatteranno gli effetti della riforma del lavoro entrata in vigore lo scorso 18 luglio. La previsione dell’ex ministro è catastrofica. C’è, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera, «un milione di persone che nei prossimi mesi rischia di rimanere senza lavoro perché non si vedrà rinnovare il contratto a termine». Il problema, ha proseguito Tremonti, è che «a differenza degli esodati, che fra qualche anno una tutela l’avranno, questi vanno a casa punto e basta».
Il milione di posti di lavoro tondo tondo fa pensare ad un’esagerazione sloganistica. E forse lo è. Ma il pericolo esiste. E i numeri potrebbero non essere molto inferiori. A confermare il rischio boomerang della riforma del lavoro c’è anche il professor Alberto Brambilla, sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2005, praticamente gli anni in cui sono state introdotte le nuove tipologie contrattuali della legge Biagi oggi fortemente ridimensionate dal governo Monti.
«In un mondo dove siamo tutti precari», si è chiesto Brambilla, «che senso ha togliere i contratti a progetto e banalizzare i lavori a chiamata rendendoli possibili fino a 25 anni o sopra i 55 anni? Oppure ritenere una partita Iva vera se dichiara più di 18 mila euro?». Forse, ha proseguito il giuslavorista, la Fornero non si rende conto «che piccole e medie imprese, artigiani, commercianti e professionisti non sanno come chiudere il mese, non il semestre e tanto meno l’anno».
L’appuntamento, per Brambilla, è a dicembre. Quando si toccherà con mano il comportamento di tutte quelle piccole aziende che hanno bisogno di lavoratori a chiamata. Secondo l’ex sottosegretario l’universo delle Pmi che subira gli effetti della riforma Fornero potrebbe aggirarsi sulle 500mila persone.
Non quantifica, ma ha pochi dubbi sugli effetti negativi anche Michele Tiraboschi, direttore del Centro studi Marco Biagi che ha lavorato al fianco dell’ex ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, nello scorso governo. «La riforma», ha spiegato qualche settimana fa il professore di diritto del lavoro, «è concettualmente sbagliata perché si fonda sull’irragionevole convinzione di poter ingabbiare la multiforme e sempre più diversificata realtà dei moderni modi di lavorare e produrre in un unico (o prevalente) schema formale, quello del lavoro subordinato a tempo. Il risultato sarà, quantomeno nel breve/medio periodo, minore occupazione».
Per quanto pochi potranno essere i nuovi disoccupati prodotti dalla riforma, l’effetto «esodati due» si andrà ad innestare su una situazione già gravamente compromessa. Gli ultimi dati diffusi dall’Istat a inizio agosto parlano di un tasso di disoccupazione (riferito a giugno) arrivato alla quota record del 10,8%, con un balzo del 2,7% rispetto ad un anno fa. Percentuale di senza lavoro che tra i giovani, ovvero la categoria che sarà sicuramente più colpita dagli effetti della riforma Fornero, sale al 34,3%. In pratica, ha spiegato l’Istat, i giovani disoccupati rappresentano il 10% della popolazione tra i 15 e i 24 anni. Per ora.
© Libero