Banche di nuovo in pressing su Via Nazionale. Alcuni istituti di credito starebbero in questi giorni sondando Bankitalia per chiedere di poter rivalutare le quote che detengono nell'istituto centrale per migliorare i propri bilanci. A scriverlo è il Wall Street Journal sottolineando come la mossa sia stata avanzata sia da alcuni big del settore sia dall'industria bancaria. Per il momento da Bankitalia non sarebbero arrivate risposte, ma gli istituti di credito, sostiene il quotidiano, «hanno visto crescere il loro ottimismo quando la banca centrale ha detto che c'è una discussione aperta su come cambiare la sua inusuale struttura azionaria».
La vicenda risale al 1936, quando alcune banche, compagnie di assicurazioni e l'Inps iniettarono 300 milioni di lire nella Banca d'Italia che necessitava di una ricapitalizzazione. La quota è stata poi convertita in euro - 156mila, per la precisione - quando l'Italia è entrata nella moneta unica. Fra i principali azionisti di Via Nazionale figurano oggi Intesa Sanpaolo, con il 30,3% delle quote, Unicredit con il 22,1% e Assicurazioni Generali con il 6,3%.
I sostenitori dell'operazione sostengono che si tratterebbe di una operazione che migliorerebbe i bilanci delle banche senza alcun costo, con maggiore capitale che verrebbe così utilizzato per prestiti a società in difficoltà, a beneficio dell'intero sistema economico. I detrattori ribattono, invece, che tale aiuto contabile non farebbe altro che minare la reputazione delle banche italiane.
Sta di fatto, che sulla questione si sta muovendo con decisione tutto il settore, a partire dall'Associazione bancaria e dalle Fondazioni. Del resto sette anni l'art. 19 della legge sul risparmio (varata dal governo Berlusconi) disponeva il trasferimento delle quote della Banca d'Italia allo Stato, demandando a un regolamento da scrivere entro il gennaio 2009 le modalità attuative. Regolamento che non ha ancora visto la luce, proprio per le divergenze valutative sugli attivi.
Secondo il presidente di Banca Carige (anch'essa azionista) e vicepresidente dell'Abi, Giovanni Berneschi, «entro fine anno si potrebbe sciogliere questo nodo, con un aumento di capitale gratuito di Via Nazionale da sottoscrivere con le riserve disponibili, per un controvalore fra i 5 e 10 miliardi di euro». In questo modo le banche «iscriverebbero a patrimonio di vigilanza la quota di possesso, eliminando l'attuale previsione che ne azzera il valore». Con il giochino gli azionisti potrebbero “abbellire” i bilanci con 8-8,5 miliardi di euro, mentre lo Stato incasserebbe 1,5-2 miliardi di euro, in forma di tassazione degli incrementi di imponibile che affiorerebbero nei bilanci degli istituti.
In ballo, in termini di principio, ci sarebbe l'indipendenza dell'istituto centrale, che secondo Palazzo Koch sarebbe garantita proprio dall'attuale struttura azionaria. Tutt'altra l'opinione di Berneschi, che invece definisce quel 50% detenuto dai due principali gruppi italiani una «anomalia» da risolvere.
© Libero