mercoledì 10 agosto 2016

Capitale in rovina, ma rischia di ospitare i giochi

Secondo il Wall Street Journal Roma sarebbe in testa nella corsa alle Olimpiadi del 2024. Una forta spinta alla candidatura, ha spiegato il quotidiano finanziario statunitense, sarebbe arrivata dal  lavoro fatto da Matteo Renzi nei giorni scorsi a Rio de Janeiro. La realtà è che i competitor si stanno pian piano sfilando. All’inizio, come spesso accade, la lista dei pretendenti era fitta. C’erano Amburgo, Dubai, San Diego-Tijuana, Madrid e Boston. Attualmente, oltre alla Capitale, sono rimaste in lizza solo Budapest, Parigi e Los Angeles.

Il motivo della fuga non è misterioso. Tutti sanno che con le Olimpiadi si perde denaro. E passata la sbornia degli annunci, con i conti dei tecnici sotto gli occhi, molti si rendono conto della trappola. Basta sfogliare il dossier diffuso qualche tempo fa dai radicali per avere un’idea. I costi di solito esplodono del 179%. E a pagare sono i cittadini. Per ripianare il deficit derivante dai Giochi olimpici del 1968 i contribuenti di Grenoble hanno dovuto pagare una tassa speciale fino al 1992, mentre i cittadini di Montreal e del Quebec lo hanno fatto per 30 anni, dal 1976 al 2006. Anche i cittadini di Barcellona hanno versato 1,7 miliardi di tasse in più per i giochi del 1992 mentre la Grecia per le Olimpiadi di Atene del 2004 è addirittura andata in default.
Le cifre messe in gioco, del resto, sono enormi. Atene ha speso 13,8 miliardi di dollari, Barcellona 16,4, Londra nel 2012 11,4, Rio 11,1, Pechino nel 2008 ben 45 e Sochi, nei giochi invernali più costosi della storia addirittura 51 miliardi.

Somme spese a fronte di ritorni economici assai dubbi. Uno studio pubblicato in questi giorni sul Journal of Economic Perspectives curato da Robert Baade e Victor Matheson spiega come nella maggior parte dei casi le Olimpiadi siano una partita che finisce in perdita per le nazioni ospitanti. I benefici economici sono infatti di breve periodo o del tutto inesistenti. L’impatto turistico, ad esempio, è concentrato in pochi giorni e lascia in eredità agli albergatori grossi sforzi finanziari inutili per il futuro, le infrastrutture per gli sport meno praticati restano inutilizzate negli anni successivi, i soldi spesi da turisti e cittadini per partecipare agli eventi vengono sottratti agli altri consumi, i posti di lavoro sono temporanei e sottraggono risorse alle altre aziende.
Il lungo elenco si conclude con una domanda: per quale motivo le città ancora si candidano per le Olimpiadi? Due le principali risposte fornite dallo studio. Ed entrambe non riguardano il benessere economico del Paese. Da una parte c’è il fatto che «i grandi progetti infrastrutturali continuano ad avere vincitori e vinti». Le lobby dei costruttori, in sostanza, hanno poco da perdere. Dall’altra ci sono le motivazioni politiche. «Il desiderio di ospitare i giochi», si legge, «può essere guidato dall’ego del premier o dalla voglia di dare una dimostrazione di potere politico ed economico». Non è un caso che il record delle Olimpiadi più costose sia detenuto da Russia e Cina.

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