Anche tralasciando il drammatico tributo in vite umane, il conto secco della strategia antisismica italiana è impressionante. Ricostruire invece di prevenire è già costato ai contribuenti 28 miliardi di euro. E il conto si appresta a salire con gli interventi per il terremoto che ha colpito in questi giorni il centro Italia. Facendo un’analogia con i costi della ricostruzione per l’Abruzzo e l’Emilia la cifra non dovrebbe essere inferiore ai 10 miliardi.
Il calcolo della fallimentare politica di contrasto alle calamità naturali emerge da due dossier elaborati dal Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri. Il primo, compilato dopo il terremoto dell’Emilia nel 2012, ha messo in fila tutti i costi sostenuti dallo Stato per fronteggiare le catastrofi più gravi che hanno devastato il nostro territorio negli ultimi 50 anni. Nell’analisi degli oneri vengono considerati il ripristino del patrimonio abiatativo e degli uffici pubblici, i danni alle infrastrutture, i danni al patrimonio artistico e quelli alle attività produttive. Si parte con il terremoto della Valle del Belice del 1968, costato la bellezza, a valori attualizzati, di 9,2 miliardi. Più o meno il doppio, circa 18,5 miliardi, è stato invece il costo della ricostruzione in Friuli Venezia Giulia per il sisma del 1976. Si sale ancora con il terremoto dell’Irpinia e della Basilicata del 1980. Qui la cifra sborsata dal governo è stata di ben 52 miliardi. La crisi sismica negli appennini tra Marche e Umbria del 1997 è costata 11,7 miliardi. Mentre per il terremoto che ha colpito i territori tra il Molise e la Puglia nel 2002 gli stanziamenti ammontano a 1,4 miliardi di euro.
Più o meno simile le cifre utilizzate per fronteggiare i terremoti dell’Abruzzo nel 2009 e dell’Emilia nel 2012. Si tratta di 13,7 miliardi per il primo e 13,3 per il secondo. In tutto fanno 121,6 miliardi a carico della collettività per i doverosi interventi di ricostruzione nelle zone colpite.
Ma quanto sarebbe costato, sempre senza contare la tragedia delle migliaia di morti, evitare che i palazzi crollassero e che i monumenti finissero in briciole? Sempre gli igegneri ci spiegano, in uno studio diffuso questi giorni, che la quota di immobili da recuperare, considerando un rischio sismico decrescente al diminuire dell’età dei fabbricati per arrivare quasi a zero (ma la scuola antisismica crollata ad Amatrice ci insegna che lo zero non esiste) per quelli edificati dopo il 2008, è pari al 40% delle abitazioni del Paese. Si tratta di 12 milioni di immobili con un coinvolgimenti di 23 milioni di cittadini. L’opera di messa in sicurezza sembra titanica. E probabilmente lo è. Ma applicando i parametri medi dei capitolati tecnici per interventi antisismici si scopre che il costo complessivo sarebbe di 93 miliardi. Ventisette in meno di quelli già versati, insieme alle lacrime, per ricostruire.
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