In attesa di capire dove saranno recuperati i soldi per la sforbiciata delle imposte annunciata da Matteo Renzi spunta una piccola certezza: le risorse non arriveranno dai proventi della lotta all’evasione. Per l’ennesima volta, se le indiscrezioni circolate ieri sera saranno confermate, il governo si è rimangiato la promessa fatta alcuni anni orsono. In barba ai pareri parlamentari, che chiedevano di «vincolare» una quota fissa dei tributi recuperati dagli ispettori delle Entrate al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, i decreti delegati che dovrebbe arrivare oggi in Consiglio dei ministri non contengono alcun automatismo, ma solo l’introduzione di un monitoraggio sull’evasione da riportare in un documento autonomo del Def.
Nubi in vista anche per le agevolazioni fiscali, che dovranno subire un tagliando ogni cinque anni per valutare l’eventuale modifica o eliminazione, mentre per risolvere il problema dei dirigenti azzerati dalla Consulta la soluzione all’italiana sembra sia stata trovata togliendo la qualifica ai funzionari ma mantenendo le indennità economiche. Per chi paga subito le cartelle esattoriali (entro 60 giorni) è invece in arrivo uno sconto dell’aggio di Equitalia dal 4,65 all’1% (dopo si pagherà il 6%).
Sul fronte della legge di Stabilità i tecnici del ministro Pier Carlo Padoan continuano ad arrovellarsi sul modo di recuperare i 30-35 miliardi necessari a finanziare la manovra. I riflettori sono sempre puntati sull’Europa, che almeno sulla carta resta la vacca più grassa da mungere. In realtà, anche lì i margini sono strettissimi. Come ha spiegato ieri in un’intervista al Corriere della Sera il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, avendo già ottenuto lo 0,4%, «la clausola sulle riforme potrebbe darci un margine aggiuntivo di 0,1 punti». Il che significa 1,6 miliardi di euro.
Anche sul fronte degli investimenti scorporati dal bilancio, da cui il governo spera di ottenere 5-6 miliardi, la strada sembra in salita. La clausola può essere attivata, ha detto Pisauro, «ma per finanziare opere pubbliche, non per ridurre le tasse». E oltre tutto non è chiaro se «le due clausole siano cumulabili». Molto dipenderà anche «dalle previsioni della Commissione Ue, che oggi sono peggiori di quelle del governo». Ed ecco il punto su cui stanno lavorando gli esperti economici di Palazzo Chigi e Via Settembre. L’idea è quella di bluffare un po’ sul 2016, alzando le stime di crescita rispetto all’1,4% già previsto. Spostare l’asticella più in su permetterebbe di liberare margini sul rapporto deficit/pil. Ma per riuscire il giochino dovrebbe essere supportato da qualche elemento di concretezza. E quello arrivato ieri dal Fondo monetario internazionale potrebbe essere l’assist perfetto per taroccare leggermente la Nota di aggiornamento del Def che dovrà essere presentata entro il 20 settembre. «Nel secondo trimestre», si legge in un documento del Fondo preparato per il G20 di Ankara, «la crescita italiana è superiore alle attese e dovrebbe continuare a migliorare» anche nel 2016 sostenuta «dal calo dei prezzi del petrolio, dall’allentamento monetario e dal deprezzamento dell’euro».
Musica per le orecchie del consigliere economico di Renzi, Filippo Taddei, che si è avventato sulla notizia: «Notizie incoraggianti dall’Fmi per l’Italia, che prevede un’accelerazione della crescita economica del nostro Paese. La strada è quella giusta».
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