giovedì 10 settembre 2015

Il governo intasca tutti i soldi per gli esodati

Dopo lo stop alla flessibilità in uscita sulle pensioni, azzerata a sorpresa dal governo per mancanza di coperture, per i lavoratori incappati nella trappola della Fornero arriva un’altra doccia fredda: i soldi per gli esodati se li è già messi in tasca il Tesoro.
Il finanziamento della settima salvaguardia per chi è rimasto senza lavoro e senza assegno previdenziale a causa dei nuovi requisiti imposti dal 2011 sembrava cosa fatta. Anche perché la copertura era assicurata dai risparmi provenienti dalle precedenti operazioni volte a garantire oltre 170mila persone. «Stiamo lavorando ad una soluzione da trovare prima della legge di stabilità», aveva detto solo qualche giorno fa il presidente della commissione Lavoro, Cesare Damiano, «le risorse ci sono: si tratta di circa tre miliardi di euro risparmiati finora dal Fondo di 11,6 miliardi dedicato alle salvaguardie».

Ieri, però, durante il vertice con il ministero del Lavoro, l’Inps e la Ragioneria dello Stato Damiano si è trovato di fronte il muro del ministero dell’Economia. Per il Mef, ha spiegato fuori dalla grazia di Dio, «le risorse del fondo esodati che non sono state spese nel 2013-2014, circa 500 milioni, sono perdute e sono già tornate nelle casse dello Stato». Stessa sorte, sembra di capire, subiranno i 3,3 miliardi di risparmi stimati dall’Inps da qui al 2023.
In questo modo, ha tuonato Damiano, «non solo si riduce la quantità di risorse per la settima salvaguardia, ma si cancella la volontà del legislatore, che costituendo il fondo ha espresso la volontà di utilizzare i risparmi per ampliare il numero dei lavoratori da tutelare». Un bisogno, quest’ultimo, certificato dall’Inps, che prima dell’estate, in seguito ad una interrogazione parlamentare della piddina Maria Luisa Gnecchi, ha stimato in «circa 49.500 i soggetti, suddivisi nelle varie categorie oggetto di salvaguardie precedenti, che meriterebbero di essere oggetto di ulteriori provvedimenti».

Che il Tesoro avrebbe nicchiato sulle risorse si era capito già da qualche mese. Secondo i Comitati esodati in un incontro dello scorso 16 giugno il Direttore generale previdenza del ministero del Lavoro, Concetta Ferrari, avrebbe riferito che «Mef e Ragioneria hanno dato istruzioni all’Inps che tutte le economie rimaste nelle vecchie salvaguardie potranno essere rendicontate e autorizzate solo quando saranno definite tutte le salvaguardie e terminato il processo». Dichiarazioni da confermare e interpretare. Ma è un fatto che, in barba alle previsioni di legge, entro il 30 giugno non è arrivato il resoconto annuale del monitoraggio obbligatorio.
Capitolo a parte è l’estensione dell’opzione donna, che nel 2014 ha permesso a molte lavoratrici di ottenere la pensione anticipata (57 anni di età e 35 di contributi) ricalcolando l’assegno con il metodo contributivo. Qui c’è lo zampino dell’Inps, che ha giudicato l’ipotesi troppo costosa. «L’Istituto parla di 2 oltre miliardi fino al 2023», ha detto Damiano, «una cifra spropositata calcolata su platee gonfiate». Una polemica già vista qualche giorno fa sulle proposte per la flessibilità in uscita, anch’esse considerate dal presidente dell’Istituto Tito Boeri eccessivamente onerose e anch’esse stoppate dal governo, malgrado le continue aperture di Giuliano Poletti.

Il titolare del Welfare sembra lontano dalle posizioni di Palazzo Chigi pure questa volta. «Non concordiamo con il Mef e e insieme a noi non concorda il ministero del Lavoro», ha detto fuori dai denti Damiano, parlando di decisione «inaccettabile» e minacciando «l’apertura di una stagione di conflitto». A cascata le proteste feroci dei sindacati, che hanno parlato di «scippo intollerabile», e delle opposizioni, da Forza Italia alla Lega, fino a Sel e M5S, che hanno chiesto a Pier Carlo Padoan di riferire subito in Parlamento.  Una raffica di reazioni che ha costretto il governo a precisare, in un comunicato congiunto, che Poletti e Padoan «stanno seguendo in prima persona le attività di valutazione delle possibili soluzioni ai problemi più urgenti di specifiche categorie di lavoratori». Le informazioni mancanti, hanno assicurato i due tentando di gettare acqua sul fuoco, saranno disponibili nei prossimi giorni, quando si chiuderà la Conferenza di servizio (i due ministeri più l’Inps) che è stata aperta lunedì 7. Il problema,  stando a quanto dice Damiano, è che quelle informazioni non sarebbero ancora state certificate proprio a causa del «dissenso esistente».

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