Dopo aver strapazzato ferrovieri, telefonici, magistrati, poliziotti, docenti, commercianti, piloti e persino i ministri di culto, Tito Boeri ha deciso di indossare i guanti di velluto per svelare i retroscena previdenziali dei sindacalisti. Nell’ultima puntata dell’operazione «Inps a porte aperte», a dire il vero, di svelato c’è ben poco. Pur con qualche scivolone demagogico, teso a decantare le sorti magnifiche e progressive del sistema contributivo e delle migliorie recenti apportate dal governo Renzi, il neo presidente dell’Inps ci aveva abituati da qualche mese ad un appuntamento con i conti segreti dell’Istituto.
Numeri, tabelle, pensioni medie, passività dei fondi speciali, confronti, ricalcoli: dal 6 marzo scorso, giorno in cui è partita l’operazione, gli italiani hanno potuto toccare con mano i dettagli e i particolari di molte diverse realtà previdenziali. L’intento dichiarato dell’iniziativa è quello di «rendere più chiari i meccanismi di funzionamento delle prestazioni erogate» nell’ambito di una operazione trasparenza voluta da Boeri per «migliorare il rapporto informativo tra ente e cittadini, al di là degli obblighi prescritti dalla legge». Si era però capito sin dall’inizio, con il primo dossier sul Fondo speciale per il trasporto aereo, che l’attenzione del professore di economia sarebbe stata rivolta principalmente a quelle sacche di privilegio stratificate nel corso degli anni e rimaste al riparo dalle riforme lacrime e sangue varate nelle legislature recenti. Un modo anche per favorire un intervento legislativo, auspicato da Boeri ufficialmente attraverso una serie di proposte, volto a introdurre maggiore equità nel sistema.
Arrivato il turno dei sindacalisti, però, le numerose tabelle hanno lasciato il posto ad un grafico zoppicante e il trionfo di numeri è stato sostituito da una seriosa lezioncina sullo specifico meccanismo previdenziale. La prudenza osservata da Boeri, forse dovuta alla inevitabile coabitazione con le sigle, che controllano il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’istituto, stupisce soprattutto alla luce delle polemiche scoppiate solo qualche settimana fa sulle pensioni d’oro dei sindacalisti. Ovvero quei trattamenti previdenziali integrativi erogati con il sistema retributivo (l’ultimo stipendio) a chi, anche per pochi mesi, è stato distaccato presso qualche associazione. Pratica che, secondo alcune denunce degli anni passati, veniva a volte utilizzata dai sindacati per rimpolpare le pensioni ordinarie di amici e parenti a fine carriera.
Il trucchetto è reso possibile dalla Legge Treu del 1996 (la 564) su cui lo scorso luglio il deputato di Scelta civica, Giulio Cesare Sottanelli, ha chiesto chiarimenti al ministro del Lavoro Giuliano Poletti in un’interrogazione parlamentare. Dalla risposta è emerso che il trattamento di favore (che si aggiunge al normale assegno) riguarda 17.319 sindacalisti che sono andati in pensione tra il 1996 e il 2011, data che segna la fine del sistema retributivo con l’introduzione della riforma Fornero.
Nulla si è potuto sapere allora sull’entità media di queste pensioni, sulla durata media della contribuzione integrativa né sul peso complessivo dei trattamenti sui conti dell’Inps. E nulla si è saputo ieri dalle Porte aperte di Boeri, che si è limitato a parlare, senza neanche riportare il numero rivelato da Poletti, «di incrementi delle pensioni a condizioni molto vantaggiose» determinati dai contributi aggiuntivi pagati dalle organizzazioni sindacali prima di lasciare il lavoro. Poi, dopo una lunga disamina sulla differenza tra aspettativa non retribuita (con contributi figurativi a carico dell’ente previdenziale) e distacco sindacale (con contributi e stipendio pagati dal datore), l’unico dato snocciolato dall’Inps è quello del ricalcolo della quota integrativa di alcuni pensionati pubblici con le regole del contributivo. Operazione da cui emerge una riduzione media dell’ordine del 27%, con un solo caso del 66%, sull’assegno lordo.
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