Cinquanta milioni subito. E altri 150 dopo. Ammonta a 200 milioni di euro il bottino che il Campidoglio si prepara a sfilare dalle tasche dei romani per finanziare il Giubileo. La buona notizia è che per ora, ma le cose potrebbero facilmente cambiare in corsa, la somma è nettamente inferiore ai 500 milioni chiesti dal sindaco Ignazio Marino. La cattiva è che l’ipotesi di utilizzare l’Irpef locale come bancomat per la liquidità necessaria è confermata. I fondi per pagare i lavori dell’Anno Santo, ha detto ieri l’assessore alla Legalità con compiti di supervisione sugli appalti del Giubileo, Alfonso Sabella, intervenendo a Sky Tg24, verranno dalle tasse dei romani, per l’esattezza dallo 0,4% dell’addizionale comunale sul reddito.
Sulla carta non si tratta di risorse aggiuntive, essendo soldi che già entrano nelle casse del Comune di Roma. I finanziamenti, tengono a sottolineare da settimane Marino e i suoi, saranno trovati nel bilancio del Campidoglio. Ma il trucco è plateale.
I romani, infatti, pagano attualmente lo 0,9% di addizionale Irpef. Un valore più alto dell’aliquota massima prevista a livello nazionale dello 0,8% a causa di concessione governativa seguita al dissesto finanziario esploso nel 2008 con la scoperta del debito monstre accumulato sotto le gestioni Rutelli e Veltroni.
Da allora, con la nascita della Gestione commissariale, gli abitanti della Capitale pagano una quota di addizionale Irpef per ripianare il buco di bilancio accumulato negli anni passati, che alla data del 31 dicembre 2013, ultimo anno censito nelle tabelle pubblicate sul sito della gestione commissariale, ammontava a 12,8 miliardi di euro (rispetto ai 16,7 lasciati da Veltroni).
La quota di addizionale è, per l’appunto lo 0,4%. Ed è proprio da qui che il Comune, con il beneplacito di Palazzo Chigi, che ha opportunamente allentato i vincoli del patto di stabilità interno per consentire a Roma di gonfiare il bilancio di 200 milioni, prenderà i soldi per foraggiare i cantieri del Giubileo.
Non è la prima volta che al Campidoglio utilizzano la Gestione commissariale per scaricare passività impreviste e far quadrare i conti. E non sarà l’ultima. Il problema è che i soldi sottratti al piano di rientro dal debito prima o poi qualcuno dovrà rimetterli al suo posto. O lo farà il governo, come già accaduto in passato, trasferendo risorse al Comune e facendo quindi pagare il conto alla fiscalità generale. O lo faranno i romani, che continueranno a pagare all’infinito un’Irpef stellare per colmare un buco che continua ad allargarsi.
Stangata da cui non si salvano neanche i redditi più bassi, considerato che la soglia di esenzione per il 2015 è stata fissata a 12mila euro lordi annui, e che potrebbe diventare ancora più pesante. Solo un anno e mezzo fa, ad esempio, Marino era riuscito a far inserire nella prima versione del decreto Salva Roma (poi modificata) l’aumento dell’addizionale all’1,2%.
Al centro del grande gioco delle tre carte capitolino ci sarà, paradossalmente, la stessa persona che fino a qualche mese aveva sbattuto la porta denunciando la cattiva gestione amministrativa del Comune.
Dal 27 agosto, infatti, a guidare la Gestione commissariale al posto di Massimo Varazzani è arrivata Silvia Scozzese. Si tratta dell’ex assessore al Bilancio che poco più di un mese fa, era la fine di luglio, aveva lasciato polemicamente la poltrona di assessore al Bilancio. «Condivido la necessità di potenziare la spesa nei settori relativi ai servizi alla città, ma essa non può essere costruita al di fuori degli ambiti di tipicità e di correttezza degli atti amministrativi, ambiti che devono costituire e rimanere il faro della nostra azione quotidiana», aveva scritto nella lettera di dimissioni.
Ora sarà proprio la Scozzese a dover firmare l’assegno con cui Marino prenderà in prestito qualche centinaio di milioni dalla gestione commissariale. Riscoprendo quel lavoro di squadra che, parole dello scorso luglio, «negli ultimi tempi sembra essere venuto meno».
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