L’ultimo incubo che turba le notti a Pier Carlo Padoan sono i dati fasulli del ministero del Lavoro sulle assunzioni a tempo indeterminato. Se quei numeri gonfiati fossero stati veri il ministro dell’Economia avrebbe dovuto subito rimpinguare con una manovra correttiva il fondo per la decontribuzione. Il rischio ancora c’è, anche se non immediato, e non è un caso che proprio Padoan qualche giorno fa, intervenendo al Meeting di Rimini, abbia smorzato gli entusiasmi di tutti ricordando che ogni sforbiciata al fisco deve «andare di pari passo con una riduzione credibile e permanente della spesa».
Sembra una banalità, ma è qui che si stanno concentrando i timori in vista della definizione della legge di stabilità, che dovrà essere presentata entro il 15 ottobre.
Il tema è ben chiaro a Giorgio Squinzi, che ieri ha ribadito il suo sostegno totale al progetto di Renzi. «A uno che dice che riduce le tasse noi facciamo un tifo spietato», ha esordito il presidente di Confindustria, aggiungendo, però, che «adesso l’importante è trovare i modi con cui finanziare questa riduzione». E l’unico modo, ha proseguito Squinzi alla Festa dell’Unità a Milano, è quello di «mettere mano seriamente alla spending review».
Ed ecco il tasto dolente. Sul dossier sta lavorando da mesi una task force guidata da Yoram Gutgeld, che ha ereditato lo scorso marzo le forbici dopo la defenestrazione di Carlo Cottarelli. Il piano da cui dovrebbero arrivare ben 10 miliardi di tagli, però, ancora non lo ha visto nessuno. Alcuni esponenti di governo, secondo quanto risulta a Libero, hanno potuto visionare le carte preparatorie, di fatto quelle circolate anche sulla stampa. Ma di documenti ufficiali e definitivi non c’è traccia. I prossimi giorni dovrebbero essere decisivi. Più passa il tempo, però, più la preoccupazione aumenta, considerata la delicatezza della materia e l’avvicinarsi delle scadenze. A partire da quella, quasi immediata, della nota di aggiornamento del Def, che dovrà essere presentata entro il 20 settembre.
Anche ammesso che Gutgeld riesca a trovare i 10 miliardi in tempo, comunque, i conti non tornano affatto. Le risorse della spending review, intanto, sono già prenotate interamente dalla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia. Partita per cui serviranno, tenendo conto anche della bocciatura europea del reverse charge, circa 16,8 miliardi. E l’elenco delle spese è appena iniziato. Per il 2016 bisognerà trovare anche le risorse per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego (1,6 miliardi), la perequazione delle pensioni (0,5 miliardi) e per le spese indifferibili (2,7 miliardi. Considerando poi le promesse delle ultime settimane, al conto occorre aggiungere 1 miliardo per le imprese, 1,3 miliardi per la flessibilità previdenziale, 4-5 miliardi per replicare la decontribuzione per i neoassunti e infine, piatto forte, 4,3 miliardi per il taglio della Tasi e dell’imu agricola e sugli imbullonati. La somma complessiva è di quasi 34 miliardi.
Il capitolo delle coperture fa acqua da tutte le parti. Per le clausole di salvaguardia sono già conteggiati i 10 miliardi di spending da fare e i 6,4 miliardi della flessibilità Ue sul deficit già concessa. Poi il governo spera di recuperare ulteriori 10-12 miliardi da due voci che potrebbero rivelarsi aleatorie: 4-5 miliardi dai minori interessi sul debito e un ulteriore margine sul deficit rispetto all’1,8% previsto per il 2016, da cui potrebbero arrivare al massimo 1,6-3,2 miliardi (0,1-0,2% del pil) da rimpolpare con 3-4 miliardi della clausola degli investimenti (soldi spesi ma non contabilizzati ai fini Ue). Queste ultime voci, però, dipenderanno sia dalla trattativa con Bruxelles sia dall’andamento del pil (che non dovrebbe scendere nel 2006 sotto l’1,4%) e dello spread (che dovrebbe tornare sotto quota 100).
Senza contare che già contabilizzati ci sono anche 11,2 miliardi all’anno di privatizzazioni fino al 2017 di cui forse entro dicembre se ne vedranno 4-5 (con Enav e Poste), mentre per il 2016 tutto è appeso alle Fs, con la partita per ora in stallo.
Di qui la proliferazione di piani B a cui stanno lavorando i tecnici del Tesoro. Nel mirino, per risparmiare qualcosa, il taglio della Tasi, che diventerebbe selettivo e non per tutti, gli incentivi alle imprese, che sarebbero più che dimezzati, e la flessibilità sulle pensioni, che diventerà a costo zero per lo Stato. L’ultima spiaggia è la solita: finanziare il taglio delle tasse con la riduzione dei trasferimenti agli enti locali. Il risultato è noto: come certificato dalla Corte dei Conti in questi giorni i tributi territoriali sono aumentati negli ultimi tre anni del 13,8% (12,7 miliardi in più), con un balzo mostruoso del 46,5% delle imposte comunali.
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