martedì 25 agosto 2015

Il fisco si accanisce sui più deboli

Il fisco è amico. Ma non di tutti. Mentre governo e vertici dell’Agenzia delle entrate non perdono occasione per sbandierare il nuovo corso della politica tributaria italiana, che dovrebbe rivoluzionare in maniera copernicana il rapporto con il contribuente, trasformando gli agenti da esattori in consulenti e sostituendo i controlli e le sanzioni con la collaborazione e la compliance (l’adesione spontanea), gli ispettori del fisco continuano tranquillamente ad accanirsi sulle fasce più deboli dell’economia, dove gli strumenti di difesa sono minori e le possibilità di successo crescono.
I dati sull’attività di contrasto all’evasione svolta dai funzionari delle Entrate nel 2014, elaborati dal Centro studi di Unimpresa, parlano chiaro. Oltre il 90% dei controlli ha riguardato partite Iva e micro-piccole imprese, solo l’8% invece le aziende di media dimensione. Mentre i grandi gruppi hanno ricevuto una attenzione accuratamente centellinata che non ha superato l’1,7% del totale degli accertamenti.



Certo, si dirà, con un tessuto produttivo, come quello italiano, formato per oltre il 90% da Pmi è normale e fisiologico che il numero di interventi rivolti ai piccoli operatori sia di gran lunga maggiore rispetto a quelli che riguardano multinazionali e aziende di grandi dimensioni. Così come è vero che in proporzione al numero dei dichiaranti delle varie fasce le percentuali assumono valori diversi. Eppure, le cifre così schiaccianti rilevati da Unimpresa lasciano il forte sospetto che la vecchia logica che ha sempre mosso il fisco, basata sull’equazione tra evasore e partita Iva (cara anche ad una buona parte dell’opinione pubblica), sia quella che ancora indirizza l’azione degli ispettori. In barba a direttive che il ministero dell’Economia e il premier Matteo Renzi hanno impartito più a chiacchiere nei talk show, a volte denunciando anche i blitz degli anni scorsi contro i commercianti, che con atti formali e vincolanti.

Dall’analisi effettuata dall’associazione emerge che nel 2014 sono stati effettuati 177.300 accertamenti fiscali. Di questi ben 160.007 (il 90,23% per l’appunto) hanno riguardato artigiani e liberi professionisti. E anche all’interno di questa grande fetta i più piccoli hanno sostanzialmente avuto la peggio, come dimostra il dettaglio delle verifiche sulla base della maggiore imposta accertata, che è commisurabile senza dubbio al grado di manovre illecite effettuate dal contribuente ma anche al livello di fatturato e di reddito: 45.638 controlli sono stati svolti su fasce di tasse non pagate fino a 1.549 euro, 66.457 fino a 25.823 euro, 38.470 fino a 185.925 euro, 9.279 fino a 5,1 milioni, 156 fino a 25,8 milioni e solo 7 oltre 25,8 milioni. La tensione si allenta sensibilmente sulle medie aziende, che hanno ricevuto complessivamente nel 2014 14.211 accertamenti (l’8,01%). Mentre i grandi gruppi industriali se la sono cavata con 3.112 controlli. Verifiche che hanno permesso di scovare la maggior parte (31) dei 47 grandi evasori che nel 2014 hanno sottratto all’erario oltre 25,8 milioni ciascuno. «L’amministrazione finanziaria», ha denunciato il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, «continua ad accanirsi sui deboli. Siamo amareggiati perchÈ il governo Renzi con la delega fiscale non ha fatto nulla per cambiare direzione».

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