mercoledì 8 luglio 2015

L'analisi dell'Fmi spaventa l'Italia. Attenti, adesso rischiate anche voi

L’agenda di Matteo Renzi è ambiziosa, ma la ripresa è «fragile» e l’impatto della Grecia sarà «sostanziale». Non arrivano buone notizie dal Fondo monetario internazionale. Al di là di alcune riflessioni d’incoraggiamento e di un apprezzamento generale, ma riferito ad effetti futuri da verificare, del jobs act, il quadro emerso dal monitoraggio effettuato in Italia dal 5 al 18 maggio dalla task force di Washington (tra cui il nostro Carlo Cottarelli) non è per nulla positivo.

Il rapporto finale del Fondo (datato primo luglio e diffuso ieri) è costellato da una sequenza di «ma» e «però» che pesano come macigni sul cammino della presunta ripartenza. L’attuale politica fiscale, secondo gli economisti di Washington guidato da Christine Lagarde, presenta una «giusto equilibrio tra sostegno alla crescita e riduzione del debito». Su quest’ultimo fronte, però, l’Italia dovrebbe procedere con maggiore coraggio sulle dismissioni, come era stato promesso in passato. «Target più ambiziosi sulle privatizzazioni», si legge nel documento, «in linea con i precedenti piani, godrebbero dei vantaggi delle condizioni favorevoli dei mercati». E aiuterebbero a ridurre un debito al di sopra del 130% del pil che è «un importante fattore di vulnerabilità» e «limita lo spazio di manovra fiscale». I problemi maggiori, secondo l’Fmi, «derivano da uno scenario di stagnazione in cui la crescita e l’inflazione rimangono molto bassi per un prolungato periodo di tempo».

Il giudizio d’insieme è che l’economia italiana «sta emergendo gradualmente da una prolungata recessione, ma la ripresa è ancora fragile». Pur lodando le autorità italiane «per le azioni politiche coraggiose» che, insieme agli aiutini esogeni arrivati dalla Bce, da Bruxelles con la flessibilità sul patto e dal prezzo del petrolio, «hanno migliorato la fiducia». Ma i direttori esecutivi di Washington sottolineano che «le prospettive di medio termine sono tenute a freno da colli di bottiglia strutturali, alta disoccupazione, bilanci deboli e debito pubblico elevato».
Molte le cose da fare per «affrontare il problema duraturo della produttività». A partire da «riforme di ampio respiro per aumentare l’efficienza nei servizi pubblici» e per sbloccare «settori che restano altamente regolati come quelli dei trasporti». Necessario inoltre un intervento sulle banche, le cui sofferenze hanno raggiunti «livelli sistemici» e l’immancabile «ribilanciamento fiscale necessario per ridurre ulteriormente le alte tasse sul lavoro e sui capitali».

In questo quadro di precarietà, accanto alla «finestra di opportunità per spingere avanti riforme più profonde per rilanciare la crescita» (che per quest’anno viene confermata allo 0,7%) c’è anche lo spettro della Grecia. Pure qui è il «ma» che fa la differenza. Il pericolo di contagio nel breve termine è infatti «limitato», così come «l’esposizione diretta», ma, avverte l’Fmi, se non combattuti con una forte risposta politica da parte dell’Europa «gli avversi sviluppi in Grecia potrebbero avere un sostanziale impatto sull’Italia tramite effetti sulla fiducia».

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