Ci sono tanti, troppi numeri che pesano come macigni sul futuro prossimo di Atene. Il più alto è quello dei finanziamenti chiesti dalla Grecia nell’ambito del terzo programma di aiuti, che è salito a 74 miliardi di euro, di cui 16 miliardi a carico del Fondo monetario internazionale e 58 a carico del fondo salva stati europeo (Esm). Ci sono poi i lunghissimi 60 anni a cui il governo di Atene vorrebbe portare la scadenza del suo enorme debito. Un raddoppio secco rispetto agli attuali 30.
Spaventano anche, nell’immediato, i 450 milioni di prestito dell’Fmi in scadenza domani e il miliardo di titoli di Stato che dovranno essere rimborsati venerdì. Così come i 3,5 miliardi da restituire alla Bce il 20 luglio, giorno considerato la vera dead line per qualsiasi tentativo di salvataggio.
Ma le cifre che fanno più paura sono quelle relative alle banche greche, il cui fallimento potrebbe far cadere nel baratro da un momento all’altro non solo l’intero Paese, ma anche l’eurozona. Il ministro dell’Economia, George Stathakis, ieri ha spiegato che se si arrivasse ad un accordo «le banche potrebbero riaprire la prossima settimana». In caso contrario, lo scenario è imprevedibile.
«Un incontrollato collasso del sistema bancario greco come debitore sovrano porterebbe dubbi significativi sull’integrità dell’eurozona nel suo insieme», scrivono Bce, Ue ed Fmi in un documento riportato dal quotidiano tedesco Fas . E la prospettiva del collasso non è così peregrina. Anzi, è così vicina che secondo alcuni sarebbe stato proprio questo il motivo del dietro front di Tsipras sulle richieste dell’Europa.
Gli istituti di credito sono chiusi dal 29 giugno, ma, nonostante il blocco dei capitali, continuano a perdere, secondo quanto riferiscono fonti del sistema bancario, circa 100 milioni di euro al giorno. Un’emorragia insostenibile anche per i quattro colossi nazionali Eurobank, Piraeus Bank e Alpha Bank e National Bank of Greece. Il timore concreto di dover correre ai ripari avrebbe già spinto i principali istituto a predisporre un piano d’emergenza che prevede la vendita delle attività all’estero ed il recupero di diverse decine di miliari cancellando azioni o bond in mano agli azionisti. Nello scenario peggiore si potrebbe anche decidere di applicare fino in fondo il cosiddetto «bail in» arrivando al prelievo forzoso sui conti correnti. Anche se gli analisti considerano la misura poco efficace: dei 120 miliardi totali di depositi, solo 30 sono in conti di grandi dimensioni e circa 20 sono rappresentati dal capitale delle Pmi. Col risultato che un prelievo sarebbe solo un colpo mortale all’economia greca senza grandi contropartite.
Anche nell’ipotesi di riuscire a tirare avanti qualche altro giorno, in ogni caso le banche hanno bisogno al più presto di una poderosa iniezione di liquidità. Secondo l’agenzia americana Dow Jones con la fuga di capitali e depositi che si è scatenata da quando Tsipras ha vinto le elezioni gli istituti del Paese hanno accumulato una necessità di ricapitalizzazione per circa 25 miliardi di euro.
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