martedì 7 luglio 2015

Basta domeniche e festivi. In sciopero contro l'Ikea

Niente vitarelle e diabolici incastri. Sabato prossimo la regina svedese del mobile low cost ci presenterà un’altra novità, a cui noi italiani siamo purtroppo abituati da tempo: uno bello sciopero nazionale. Per la prima volta nella storia nostrana dell’Ikea, e probabilmente anche in quella svedese, tutti i 21 punti vendita sparsi sul territorio potrebbero restare chiusi per un’agitazione sindacale.

Questa la promessa di Filmcams Cgil, Fisacat Cisl e Uiltucs, che si aspettano un’adesione massiccia dei 6mila dipendenti all’iniziativa partita dopo le proteste a macchia di leopardo del mese scorso. Sul tavolo, secondo quanto emerso ieri al termine del tavolo a Bologna per tentare di riaprire la trattativa, c’è la revisione del contratto integrativo su cui l’azienda, che si vanta di aver tenuto duro (senza tagli o chiusure) in questi ultimi tre anni di crisi malgrado un disavano complessivo di 53 milioni, non intende mollare. Tra i punti contestati, la trasformazione del premio aziendale da fisso in elemento variabile, la limatura delle maggiorazioni per il lavoro domenicale e festivo e un nuovo sistema di gestione dei turni. Un pacchetto che secondo i sindacati sforbicierà in maniera robusta la busta paga dei lavoratori, ma che, secondo Ikea, servirà invece ad armonizzare il sistema delle retribuzioni tra vecchi e nuovi assunti e ad «assicurare un futuro solido e sostenibile» alla presenza e all’espansione del gruppo in Italia.

La sostanza, al di là delle reciproche ragioni, è che si apre un’altra vertenza di lavoro su tutto il territorio nazionale. Venerdì scorso, dopo il decreto che ha di fatto dissequestrato il sito Fincantieri di Monfalcone e l’altoforno 2 dell’Ilva a Taranto il premier Matteo Renzi ha twittato: «Passo dopo passo, un mattone alla volta, non solo salvataggi di aziende, ma anche costruzione di futuro. Avanti tutta, è la volta buona». Ventiquattro ore prima l’ex sindaco aveva festeggiato l’accordo sulla Whirlpool: «Lo avevamo promesso ai lavoratori. Nessuno chiusura, nessun licenziamento». La verità è che di vertenze aperte in Italia ce ne sono ancora centinaia. Per l’esattezza, alla data ddi febbraio 2015 (da allora l’elenco non è più stato aggiornato), il ministero dello Sviluppo certifica 149 tavoli di confronto aperti, di cui 16 che riguardano tutto il territorio nazionale. Tra le regioni più colpite c’è in prima fila la Lombardia, con 31 stabilimenti coinvolti, subito dopo il Lazio (26), la Campania (20) e il Veneto (18). Per quanto riguarda i settori, in prima fila c’è l’industria pesante (26 vertenze aperte), poi  l’informatica e le tlc (19) e i servizi (16). Inutile dire che dietro i 149 tavoli (diminuiti solo di 10 unità rispetto all’inizio del 2014) ci sono decine di migliaia di posti di lavoro a rischio. Circa 120mila, secondo alcune stime. In questo mare di difficoltà e incertezze, la Whirlpool è ovviamente solo un tassello, seppure rilevante.

Quanto al decreto con cui il governo ha tentato di mettere una toppa al corto circuito tra giustizia ed economia, di cui ancora non si discute come si dovrebbe a livello istituzionale, pure lì la situazione è tutt’altro che risolta.
Tanto per avere un’idea insieme al provvedimento per il dissequestro del cantiere ieri è arrivato a Monfalcone un avviso di garanzia al direttore dello stabilimento sempre per le violazioni di norme in materia ambientale. Una mossa che ha giustamente suscitato «sorpresa» nel gruppo.

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