venerdì 12 settembre 2014

Stangata sulla casa: ecco dove la Tasi costerà più dell'Imu

Dovevano abolire la tassa sulla prima casa. E invece il bottino dei sindaci è addirittura aumentato. A poche ore dalla scadenza dei termini (il 10 settembre) per la comunicazione delle delibere sulle aliquote da parte dei comuni, il grando inganno della Tasi inizia a delinearsi con chiarezza. Abbiamo passato il 2013 ad assistere allle acrobazie politiche sull’abolizione del balzello sulla prima casa reintrodotto da Mario Monti con l’Imu. Compiuta, a fatica, l’opera, il governo ci aveva assicurato che dal 2014 le abitazioni principali sarebbero state esentate dal pagamento delle tasse.

Al posto dell’Imu è però arrivata la Tasi, imposta sui servizi indivisibili. Sulla carta il tributo doveva essere soft, un’imposizione leggera assolutamente non paragonabile alla mazzata dell’Imu. Nella realtà, la gabella nuova di zecca si è rivelata uguale, se non peggio, di quella vecchia. Il sospetto che le rassicurazioni del governo sul minore impatto della Tasi fossero fasulle era già venuto prima dell’estate, sulla base dei dati relativi alla quota di comuni che hanno deciso per tempo aliquote ed eventuali detrazioni. L’allargamento della platea di contribuenti coinvolti, avvenuto negli ultimi giorni con la raffica di delibere comunali varate in zona Cesarini per non perdere il treno della Tasi, ha reso il quadro più chiaro. Confermando, purtroppo, le ipotesi peggiori.

I numeri, almeno per ora, parlano chiaro. Dalle rilevazioni effettuate per Libero dal servizio politiche territoriali della Uil su 38 città campione (un terzo del totale dei capoluoghi) risulta che la Tasi batte l’Imu. E non di poco. L’analisi, a differenza di quelle circolate negli ultimi giorni, non è effettuata sulle medie statistiche delle aliquote e sulle simulazioni di pagamento in base a differenti tipologie di case e di famiglie. Operazioni che forniscono un quadro generale non sempre corrispondente alle realtà concrete. In questo caso il dato preso in esame è quello relativo al gettito dei comuni. In altre parole i soldi materialmente e complessivamente incassati dai sindaci con i balzelli sulla casa.
Ebbene, dal campione analizzato dalla Uil emerge che le 38 città oggetto dell’indagine nel 2012 hanno incassato quasi 1,291 miliardi di Imu sulla prima casa (pari ad un terzo del gettito totale di 4 miliardi), mentre nel 2014, stando ai bilanci già approvati, prevedono di incassare con la Tasi 1,358 miliardi, ben 66,9 miliardi in più.

Nel dettaglio, in 26 città (68,4% del totale del campione) le entrate contabilizzate dai sindaci per la Tasi superano quelle della vecchia Imu prima casa. Solo in 12 città, invece, il gettito risulta inferiore.
Tra gli aumenti maggiori spiccano quelli di Roma, con 71,2 milioni di euro, di Milano, con 25,3 milioni, di Sassari, 6,9 milioni, di Brescia, 3,8 milioni, e di Mantova, 3,2 milioni. In queste città, va detto, l’imposta sui servizi indivisibili è applicata anche agli altri immobili. Considerato, però, che quasi tutti i comuni avevano già alzato l’asticella dell’Imu sulle seconde case ai livelli massimi (10,6 per mille, che è anche il tetto d’aliquota Imu più Tasi) e che quindi sugli altri immobili   hanno potuto applicare in quasi tutti i casi solo la maggiorazione dello 0,8 per mille destinata alle detrazioni, il risultato cambia poco. A Milano, ad esempio, il solo gettito della Tasi sulla prima casa è stimato in 145 milioni, mentre il gettito Imu 2012 era di 139,6 milioni. Leggendo il bilancio del Comune di Brescia, invece, ci accorgiamo che toglieno il gettito sugli altri immobili si arriva ad un sostanziale pareggio.
Unidici città del campione, comunque, applicano la Tasi solo sulle prime case. E anche qui la Tasi batte quasi sempre l’Imu. In particolare a Piacenza il gettito del tributo sui servizi è maggiore di 2 milioni di euro, a Bologna di 1,8 milioni, a Pordenone di 1,2 milioni, a Pistoia di 1,1 milioni di euro e a Siracusa di 764mila euro.
Tra le città in cui la pressione fiscale della Tasi è minore ci sono sicuramente Torino, con una diminuzione di 34,5 milioni, e Genova, meno 18,2 milioni. Le cifre si assottigliano molto aForlì (3 milioni), Rimini ed Ancona (2 milioni). In sostanziale parità è Firenze. Nella città fino a qualche mese fa guidata da Matteo Renzi nel 2012 il balzello sulla prima casa ha dato un gettito di 41 milioni, mentre la Tasi è stimata a 40,5 milioni.

Amaro il commento di Guglielmo Loy. Seondo i nostri calcoli, ha spiegato il segretario confederale della Uil, «alla fine della giostra i conti tra Imu prima casa e Tasi saranno quasi alla pari. Ci domandiamo se è valsa la pena stare a discutere un anno di Imu sì Imu no, quando tra l’altro molti Comuni hanno o stanno aumentando l’Irpef Comunale». E se, ha concluso Loy, «per i lavoratori dipendenti gli 80 euro attenueranno l’impatto della Tasi, per 15 milioni di pensionati (spesso proprietari di prima casa), la tassa comporterà quest’anno un vero salasso sulle loro pensioni».
Al danno economico della gabella si dovrà poi aggiungere quello legato al caos sui pagamenti, che costringerà ancora una volta la maggior parte dei contribuenti a rivolgersi ad un professionista abilitato. La stessa direttrice dell’Agenzie delle entrate, Rossella Orlandi, qualche mese fa ha confessato che «per capire» cosa doveva fare con l’Imu ha «perso un pomeriggio». Con la Tasi, agli italiani, non basterà una settimana. Basti pensare che i contribuenti di circa 2mila comuni, ognuno con le sue regole, le sue aliquote e le sue esenzioni, sono stati chiamati alla cassa il 16 giugno per la prima rata e dovranno versare il saldo il 16 dicembre. Per tutti gli altri la scadenza doveva essere il 16 ottobre. Ma i ritardi nei sindaci nell’approvare le delibere lasciano prevedere che almeno un migliaio sui 6mila rimasti indietro potrebbero non farcela. Questo significa che per i cittadini coinvolti la Tasi si pagherà tutta in un’unica soluzione il 16 dicembre, con un’aliquota uniformata a quella di base dell’1 per mille. Nel caso più totale saranno poi gli inquilini, che dovrebbero pagare una parte di Tasi (dal 10 al 30%), ma ancora neanche esistono i codici tributo.

© Libero