martedì 24 novembre 2015

Renzi svende le Ferrovie e getta la società nel caos

Non si conoscono ancora i nomi degli allenatori né le regole del gioco, ma il governo ha voluto comunque dare il fischio di inizio di una partita dagli esiti imprevedibili. E, forse, catastrofici. Il 40% delle Ferrovie dello Stato finirà sul mercato: questa la sostanza del Dpcm approvato ieri in fretta e furia da una riunione lampo del Consiglio dei ministri. Una decisione che era attesa da tempo, ma che non scioglie la maggior parte dei nodi su cui nell’ultimo anno si è consumata una guerriglia sottotraccia sia all’interno del governo sia all’interno delle Fs.

La cessione, si legge nel comunicato di Palazzo Chigi, avverrà attraverso «un’offerta pubblica di vendita rivolta ai rispamiatori, inclusi i dipendenti del gruppo, e a investitori istituzionali e internazionali, e quotazione sul mercato azionario».
Sul quando c’è grande vaghezza. La privatizzazione, che «potrà essere effettuata anche in più fasi», dovrebbe avvenire nel corso del 2016, ma «compatibilmente con le condizioni di mercato». Le cose, ha poi precisato il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, «vanno fatte con calma e ragionevolezza».  Quanto alle modalità della cessione, l’unico paletto riguarda l’infrastruttura ferroviaria, che rimarrà «in mano pubblica». A prima vista sembra la fine dello sfiancante duello tra il progetto del presidente delle Fs, Marcello Messori, convinto che la cessione si debba fare a pezzi e quello dell’ad, Michele Elia, sostenitore, invece, come Mauro Moretti prima di lui, che la privatizzazione vada fatta in blocco sull’intero gruppo. In realtà, nulla è stato ancora deciso. Il decreto è solo «l’avvio» di un percorso, ha ribadito più volte Delrio, spiegando che l’operazione riguarda essenzialmente «i servizi a mercato», che saranno garantiti «gli obblighi di servizio pubblico» e che «la piena maggioranza dell’azionariato resterà allo Stato». Ma se la privatizzazione riguarderà «Trenitalia o una quota di Rfi scorporata... è un lavoro che verrà fatto nelle prossime settimane».

La partita vera, insomma, è ancora da giocare. E non si tratta di dettagli. Fior di economisti  hanno spiegato che la rete rappresenta un dilemma quasi insolubile. Circa 30 miliardi del valore delle Fs (complessivamente si parla di 40/45 miliardi) sono dovuti proprio all’infrastruttura ferroviaria di cui allo stesso tempo, per un ingarbuglio giuridico, Rfi è sia proprietaria che concessionaria. Se la rete resta dentro, i privati dovrebbero sborsare troppi quattrini per acquistare una quota di un bene pubblico la cui redditività è praticamente limitata ai costi di manutenzione (non c’è remunerazione per gli investimenti). Se la rete invece viene scorporata nell’ambito di uno spacchettamento delle Fs, secondo Messori, sarebbe possibile dalla quotazione delle varie società, a partire dall’alta velocità, ottenere circa 10-11 miliardi euro di incassi rispetto ai 3,5-4 previsti dal governo. Ma il gruppo rischierebbe di crollare come un castello di carte. E’ grazie alla rete, infatti, che le Fs hanno la possibilità di finanziare il debito a costi competitivi. Ed è grazie alle sinergie con tutte le società, ha spiegato più volte Elia, che le Fs sono «in grando di innovare e di creare valore». Così la pensava anche Pier Carlo Padoan, quando lo scorso anno ha di fatto costretto Messori ha riconsegnare le deleghe sulla privatizzazione all’ad. Nelle ultime settimane, però, il ministro dell’Economia si è defilato. E ieri, guarda caso, era a Bruxelles a seguire l’eurogruppo.

Alcuni ritengono che la fuga in avanti di Delrio sia stata in qualche modo subìta da Renzi. D’altra parte è lo stesso premier che la scorsa settimana, convocando  presidente e ad di Fs, ha riaperto il totoscommese sul rinnovo dei vertici.  Una mossa curiosa, considerato che i due sono stati nominati da Renzi solo un anno e mezzo fa  e che il management continua a macinare risultati. L’utile del preconsuntivo 2015 è di 500 milioni, in crescita del 60% rispetto ai 303 del 2014. Del resto, è un fatto che Messori ed Elia, economista esperto di banche e finanza il primo, ingegnere cresciuto  sui binari il secondo, non hanno mai smesso di litigare da quando si sono trovati allo stesso tavolo. Dissidi che hanno  rallentato la privatizzazione, ma anche coperto i forti ritardi del governo. Renzi ha pensato così di cogliere l’occasione per mandare in buca due palle. Da una parte avere qualcuno da incolpare, dall’altra infilare un altro dei suoi in una posizione di comando. Candidato alla successione di Elia c’è Renato Mazzoncini, ad della controllata del gruppo Busitalia e  presidente dell’Azienda tramviaria fiorentina, Ataf, di cui contribuì alla privatizzazione mentre Renzi era sindaco. Il cambio della guardia potrebbe avvenire già al cda di giovedì, dove però i vertici non sembrano intenzionati a dimettersi. Renzi dovrebbe dunque forzare la mano, facendo decadere il consiglio, oppure, come è più probabile, concedere più tempo alla transizione.

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