martedì 19 luglio 2016

Un talento nel salvarsi dai giudici

Dietro le sbarre, comunque vada, Carlo De Benedetti non finirà. Anche ammesso che la sentenza a 5 anni e due mesi venga confermata in Appello e poi in Cassazione, il che è tutto da vedere, l’ingegnere non farà un giorno di carcere. La pena è troppo elevata per chiedere la sospensione condizionale (2 anni) e anche per accedere all’affidamento in prova nella versione recentemente «allargata» (4 anni), ma gli anni di De Benedetti, 82 il prossimo novembre, gli consentiranno quasi sicuramente (anche se si tratta di una concessione e l’omicidio colposo non è un reato da poco) di scontare la pena nella sua abitazione, sotto forma di detenzione domiciliare.

Più difficile, invece, che l’ex patron della Olivetti possa rifugiarsi nella prescrizione che un paio di anni fa ha salvato l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny dalla condanna per la vicenda Eternit. In quel caso si procedeva per disastro ambientale e la Cassazione ha ritenuto valido l’orientamento giurisprudenziale che fa partire la prescrizione nel momento in cui avviene l’evento, senza considerare gli effetti successivi. Diverso è il caso del processo Olivetti, in cui si procede per omicidio colposo, dove il conteggio parte dall’ultima vittima accertata per i fatti contestati. Una strada tentata anche a Torino con il processo Eternit Bis per le 258 morti provocate dall’amianto. Ma il dibattimento è ora fermo (dal luglio 2015) in attesa che la Corte Costituziojnale decida se è lecito processare Schmidheiny una seconda volta per lo stesso fatto.
Schivare gli affondi della magistratura, in ogni caso, non è una gran novità per De Benedetti. Un altro disastro ambientale, quello relativo alla centrale a carbone Tirreno Power, lo ha sfiorato solo di striscio, essendoci un semplice legame societario tra la Cir, all’epoca detenuta dalla famiglia De Benedetti, e gli stabilimenti di Vado Ligure. Stesso legame è emerso tra l’imprenditore e la Romed, società finita  nell’inchiesta sulle speculazioni di Borsa in occasione della riforma delle Popolari. Pure qui nulla di penalmente rilevante.

Assolto in Cassazione per il suo coinvolgimento nel crac del Banco Ambrosiano, malgrado le condanne in primo e secondo grado per concorso in bancarotta,  De Benedetti si è divincolato anche dall’abbraccio mortale dei pm all’epoca di Tangentopoli. E’ noto il suo memoriale consegnato nel 1993 al pool di Mani Pulite, in cui si parlava anche di tangenti pagate per alcune commesse della Olivetti a Poste. Ma il tutto si concluse senza eccessivi traumi: una assoluzione, una prescrizione e un arresto lampo.
L’unica condanna è quella a tre mesi per falso in bilancio (poi convertita in pena pecuniaria di 50 milioni di lire) passato in giudicato nel 1999 dopo un patteggiamento. Un episodio isolato di cui, però, l’ingegnere ha perso memoria. La vicenda è emersa in un processo per diffamazione contro Marco Tronchetti Provera (poi assolto). «Non mi ricordo, evidentemente era irrilevante perché è finita nel nulla», ha detto in aula De Bendetti.

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