Basta riavvolgere il nastro di qualche mese per capire l’assurdo scenario in cui si è verificata la tragedia sulla Bari-Barletta. L’11 febbraio scorso l’assessore ai Trasporti pugliese, Giovanni Giannini, e il presidente di Ferrotramviaria (che controlla le Ferrovie del Nord Barese), Gloria Pasquini, presentavano in pompa magna tre ETR 452 nuovi fiammanti. Elettrotreni di ultima generazione prodotti dalla spagnola Caf da mettere in servizio proprio sulla tratta Bari-Barletta, passando per l’aeroporto internazionale Karol Wojtyla, vetrina ed orgoglio dell’intera Regione.
Le macchine sono all’avanguardia sia per il confort (climatizzazione, videosorveglianza, entrata a raso sulla banchina) sia per la sicurezza (sistema di controllo elettronico di marcia). Costo dell’investimento, finanziato dalla Regione Puglia e dall’Unione Europea: 4,5 milioni a treno.
Dove viaggiano le tre Ferrari dei binari lo abbiamo visto drammaticamente ieri. Dei circa 70 km che separano Bari da Barletta solo 33 (tra Fresca San Girolamo e Ruvo) sono a doppio binario, gli altri 37 sono a binario unico. In sostanza per andare avanti e indietro i treni devono necessariamente alternarsi, aumentando di gran lunga il rischio. Ma non è solo questo il punto. L’Italia, purtroppo, è piena di tratte a binario unico. Ce ne sono tante al Sud e molte anche nel Centro-Nord. La Puglia non è da meno. Su 1.500 km complessivi di rete oltre la metà è a binario unico. Degli 840 km gestiti dalla Rete Ferroviaria Italiana (gli altri sono gestiti in concessione da ferrovie private), dati aggiornati al 29 gennaio 2016, solo 421 sono a doppio binario. Malgrado il deficit infrastrutturale, però, come ha certificato l’Autorità nazionale per la sicurezza ferroviaria, è dal 2007 che non si verificava più in Italia uno scontro frontale fra treni. Gli incidenti ci sono, ma si tratta, per lo più, di deragliamenti. Mentre la maggior parte di morti che si verificano sui binari è quasi sempre dovuta ad attraversamenti illeciti di pedoni. A fare la differenza, soprattutto quando la strada è a doppio senso di marcia, è la tecnologia. E qui la Ferrotramviaria, società privata che gestisce l’infrastruttura in concessione sulla base di un contratto di servizio con la Regione è, purtroppo, ben lontana dagli standard a cui sono abituati i suoi scintillanti ETR 452.
La circolazione dei treni sulla Bari-Barletta, infatti è protetta da un sistema di blocco automatico bidirezionale solo da Bari a Ruvo. Da Ruvo a Barletta (il tratto che comprende la Corato-Andria dove è avvenuto lo scontro), ha come unico sistema di sicurezza il blocco telefonico. In altre parole, può sembrare incredibile nel 2016 ma è così, i capistazione devono telefonarsi per coordinare la circolazione dei treni. Ci sono protocolli severi, registrazioni delle chiamate, regole ferree. Ma la sostanza non cambia: nell’era della connessione globale, della banda larga, dei sensori di prossimità e dei gps in Puglia i treni viaggiano ancora come nei film in bianco e nero. Per avere un’idea dell’anomalia, basti pensare che in tutta Italia, stando sempre ad Rfi, solo il 2% della rete utilizza questo metodo rispetto ai più moderni sistemi automatici, che sfruttano dei sensori per segnalano blocco per blocco se la linea è occupata e, in caso di emergenza, fermano il treno con il semaforo rosso o togliendo direttamente la corrente alla rete. Cosa che accade ormai ovunque tranne che in Puglia, dove il Controllo elettronico di marcia del treno (Scmt) è presente solo su 600 km degli 840 totali gestiti da Rfi.
L’arretratezza della rete regionale è un problema antico, che nasce da un combinato disposto di malagestione pubblica, di malaffare privato ma anche di semplice pigrizia burocratica tipica dell’Italia e, segnatamente, del Mezzogiorno. Basti pensare che l’ammodernamento della tratta Corato-Andria era previsto da un piano finanziato dalla Ue con 180 milioni nel 2012. Ma il bando di gara ancora non è stato presentato. Anzi, ironia della sorte, lo scorso 16 giugno Ferrotramviaria ha deciso di prorogare la scadenza dal primo al 19 luglio.
L’emblema del fallimento infrastrutturale pugliese si chiama Ferrovie del Sud Est, la società che gestisce in concessione circa 474 km di binari regionali (la più estesa rete «privata» italiana) e il cui socio unico è il ministero dei Trasporti. La FSE (la cui storia antica si intreccia con quella del fondatore di Ferrotramviaria, il conte Ugo Pasquini) è ora commissariata dopo più di 20 anni di regno di Luigi Fiorillo (l’amministratore che in soli sei anni si sarebbe intascato 13,75 milioni di compensi) a causa di 311 milioni di buco emersi da una ricognizione sui conti. Nel corso degli ultimi anni la società è finita anche nel mirino della Corte dei Conti per danno erariale e della procura di Firenze, nell’ambito dell’inchiesta su grandi opere e Tav. Ma la vicenda più clamorosa è quella su cui indaga la procura di Bari, che riguarda presunte tangenti sull’acquisto di 52 vagoni con i soldi della Regione. Di queste, 25 carrozze sono state comprate usate in Germania a 37.500 euro l’una, poi rivendute a 280mila euro alla società polacca Varsa e poi di nuovo riacquistate a 900mila euro l’una. Il bello è che le carrozze non sono adatte alle linee della Sud Est e sono restate nel rimessaggio. Possibile che in tanti anni nessuno, né al ministero né alla Regione Puglia, si sia accorto di nulla?
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