giovedì 21 luglio 2016

Tra fondi alle rinnovabili e tasse sull'energia ci sono più balzelli che sulla benzina

Tasse, oneri impropri, anomalie del mercato. Chi pensava che le maggiori insidie per le tasche dei cittadini si annidassero dietro le pompe della benzina dovrà ricredersi. La vicenda emersa nelle ultime settimane degli aumenti dei costi di dispacciamento dovuti a comportamenti scorretti di grossisti dell’energia chiude il cerchio sulle anomalie di una tariffa che continua a succhiare soldi agli italiani nel sostanziale mistero dei suoi meccanismi.

Grazie ad uno sforzo di trasparenza fatto negli ultimi anni dall’Autorità per l’energia oggi possiamo abbastanza agevolmente scorporare le varie voci della bolletta. Secondo i dati aggiornati al terzo trimestre 2016 (che tengono conto anche della riforma scattata dal primo gennaio che ha ridistribuito alcune voci) il 13,4% del costo complessivo se ne va in tasse (Iva e accise) e il 24,6% in oneri generali di sistema. Questi ultimi, da tempo denunciati dal Garante come oneri impropri che fanno lievitare a dismisura il costo della luce, sono assorbiti per l’86% dagli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate. Qui, malgrado le sovvenzioni non siano più rinnovate a vadano a morire, troviamo ancora i grotteschi contributi alle società petrolifere sotto forma di contributi Cip6. Poi ci sono i costi per la messa in sicurezza del nucleare, quelli per l’efficienza energetica, i sussidi alla rete ferroviaria, alle piccole imprese elettriche e a quelle energivore. Un altro 17,6% della bolletta se ne va per le spese relative ai servizi di distribuzione e trasporto.

Solo dopo tutte questi oneri accessori si arriva al costo vero e proprio dell’energia, quello relativo alla materia prima che usiamo per far funzionare gli elettrodomestici. La componente energia, quella su cui si fanno concorrenza le società e che per ora (ma il ddl concorrenza vuole chiudere la partita nel giro di un paio di anni) ha un prezzo fissato a tavolino dall’authority per gli utenti che scelgono il servizio in maggior tutela. Questa voce (che lo scorso anno si chiamava servizi di vendita) rappresenta attualmente il 44,33% della bolletta. Di cui l’8,1% per la commercializzazione e il 36,23% per l’approvvigionamento. Si inseriscono in quest’ultima fetta gli oneri per il dispacciamento che hanno portato al blocco dell’aumento da parte del Tar della Lombardia. L’incremento del 4,3% della bolletta della luce deciso dall’autorità per l’energia è infatti dovuto per il 3,3% proprio al rincaro di questi costi dovuto, sembra, ad operazioni anomale da parte di alcuni grossisti. Il mercato per i servizi di dispacciamento, gestito da Terna, a differenza della borsa elettrica (gestita dal Gme) non ha una formazione del prezzo sulla base della domanda e dell’offerta, ma utilizza la forma del pay as bid, ovvero del prezzo stabilito dal venditore. Una dinamica dovuta alla necessità di garantire istante per istante la quantità di energia richiesta dai consumatori che, evidentemente, rischia di essere soggetta a forti speculazioni nel momento in cui nella rete c’è un deficit di corrente elettrica. Cosa che può avvenire per la scarsa produzione in alcune aree del Paese, per i colli di bottiglia o per l’impossibilità di prevedere l’apporto di energia da parte di alcune fonti rinnovabili non programmabili (come ad esempio l’eolico, il fotovoltaico o il geotermico).

Sarebbero nate proprio in questo contesto le anomalie segnalate dall’authority. Come ha spiegato il componente dell’organismo, Alberto Biancardi, in audizione al Senato lo scorso 13 luglio, ad aprile vi è stata «una domanda molto debole e la più elevata incidenza percentuale di energia da fonti rinnovabili finora registrata, superiore al 60 per cento». Ciò ha comportato «problemi nella gestione della rete e maggiori costi». Ma più in generale il problema è che il calo delle materie prime in corso da diversi mesi ha provocato una forte riduzione del prezzo dell’energia alla borsa elettrica. E questo «ha comportato lo spostamento dell’offerta da quel mercato a quello dei servizi di dispacciamento, considerato più remunerativo». Il risultato è che i risparmi ottenuti nel primo semestre  di 1,8 miliardi nell’ambito della Borsa elettrica sono stati bruciati in parte dai 745 milioni di aumento dovuto alla speculazione sul dispacciamento. E lo sconto potenziale per gli utenti alla fine, come abbiamo visto, si è trasformato dallo scorso luglio in un bell’aumento.

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