venerdì 1 maggio 2015

La beffa alle imprese, per i nuovi contratti mancano 3 miliardi

Paradossalmente qualcuno ieri a Palazzo Chigi potrebbe aver tirato un sospiro di sollievo leggendo i dati Istat sull’aumento della disoccupazione. Se la valanga di nuovi contratti annunciata nelle scorse settimane dal ministro del Lavoro fosse stata vera, infatti, il rischio, già paventato dalla Ragioneria generale dello Stato, di una insufficiente copertura della decontribuzione triennale per i nuovi assunti sarebbe diventato certezza. In realtà, per far si che non siano necessarie risorse aggiuntive per finanziare lo sgravio contributivo l’occupazione dovrebbe praticamente colare a picco.

Malgrado la nuova frenata del lavoro, infatti, i contratti a tempo indeterminato tengono un ritmo abbastanza elevato. Cosa che si spiega facilmente, come tutti ormai, anche al governo, hanno capito, con la trasformazione delle vecchie assunzioni a tempo in rapporti di lavoro stabili. Un fenomeno provocato proprio dalla corsa all’incentivo, che secondo alcuni esperti provocherà una vera e propria bolla del “posto fisso” a tutele crescenti, con conseguenze imprevedibili per gli anni a venire.
Dati certi sulla platea che beneficerà dell’agevolazione, per ora, non ce ne sono. Ma le stime non lasciano presagire nulla di buono. Nel 2013 e 2014, stando ai numeri ufficiali del ministero del Lavoro, i nuovi contratti a tempo determinato sono risultati circa 1,6 milioni. Da questi bisogna però togliere una cospicua fetta, considerato che l’incentivo non riguarda il pubblico, alcune tipologie di lavoratori, come gli agricoltori e i collaboratori domestici, e viene applicato solo a chi nei sei mesi precedenti non aveva altri contratti a tempo indeterminato.

Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, inizialmente aveva ridotto il perimetro a 800mila contratti. La relazione tecnica alla legge di Stabilità ha aggiustato un po’ il tiro, prevedendo l’accensione di un milione di nuovi contratti nel solo anno, quello attuale, in cui vale lo sconto. Ma il dato sarebbe ancora sottostimato per i Consulenti del lavoro che invece parlano di almeno 1,15 milioni di contratti (di cui solo il 13% nuovi e il resto stabilizzazioni). Il vero problema riguarda l’entità dello sgravio. Il governo stima che solo 210mila contratti avranno lo sgravio massimo di 8.060 euro. Gli altri, considerando retribuzioni più basse, si accontenteranno di poche briciole. Il tutto farebbe i 1,886 miliardi di copertura previsti per il 2015 (che diventano 4,885 nel 2016, 5,030 nel 2017 e 2,902 nel 2018). Ben diverso è invece il calcolo effettuato dai Consulenti del lavoro, secondo cui l’agevolazione media si attesterà sui 4.130 euro. Cifra che, moltiplicata per 1,15 milioni fa la bellezza di 4,745 miliardi. In pratica mancherebbero circa 3 miliardi.

Un esagerazione? Forse. Ma anche qualcun altro si è accorto della fragilità delle previsioni. Soprattutto alla luce dei primi mesi dell’anno, che hanno registrato un elevatissimo tasso di trasformazione di contratti precari in stabili. Nella bozza di decreto legislativo sul riordino dei contratti (sempre nell’ambito del jobs act) dei primi di aprile, infatti, il governo, sulla base dei rilievi effettuati dalla Ragioneria dello Stato, ha deciso di ritoccare, seppure di poco, le previsioni di minore gettito contributivo, prevedendo un ulteriore buco di 16 milioni nel 2015, 58 nel 2016, 67 nel 2017, 53 nel 2018 e 8 milioni nel 2019. Alla copertura ci ha pensato il ministero dell’Economia piazzando, a sorpresa rispetto al testo licenziato dal Consiglio dei ministri del 20 febbraio, un’altra bella clausola di salvaguardia.

Questa volta a pagare non saranno tutti i contribuenti, come nei classici aumenti dell’Iva e delle accise. La stangata resterà circoscritta al settore, in una sorta di diabolica partita di giro, attraverso un contributo aggiuntivo di solidarietà a carico dei datori di lavoro del settore privato e dei lavoratori autonomi. Confindustria, dando la notizia dalle pagine del Sole 24 Ore, ha definito la mossa come «qualcosa che supera ogni immaginazione», peggio di «uno sketch di Crozza». Ma anche nel governo nessuno se l’è sentita di difendere pubblicamente il blitz. Anzi, come solitamente accade quando manovre di questo tipo vengono smascherate, è subito scattata la retromarcia. «È altamente improbabile che la salvaguardia possa scattare», si è giustifica il ministro Poletti, «in ogni caso, per evitare preoccupazioni posso affermare che la clausola verrà superata prima delle definitiva approvazione del decreto». Quello che resta ancora da capire è dove troveranno i soldi se alla fine il conto sarà più salato non di pochi milioni, ma di qualche miliardo.

© Libero