Chissà se Giuliano Amato si è accorto che un’altra bomba sta per arrivare sul tavolo dei giudici costituzionali. La questione non è paragonabile all’impatto, soprattutto economico, della bocciatura della perequazioni, a cui si racconta che l’ex premier socialista si sia opposto con ogni mezzo. Ma sotto il profilo simbolico le ripercussioni potrebbero essere notevoli, considerato che tra le opzioni in campo c’è la possibilità di annullare il contributo di solidarietà per le pensioni degli ex parlamentari e degli ex dipendenti di Camera e Senato.
La vicenda nasce da una raffica di ricorsi presentati nell’autunno dello scorso anno da 351 pensionati di Montecitorio alla Commissione Giurisdizionale della Camera. Obiettivo: annullare il taglio degli assegni deliberato dall’Ufficio di presidenza lo scorso 4 giugno in attuazione delle disposizioni contenute nella legge di Stabilità 2014. Le norme incriminate sono quelle inserite dall’ex premier Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni nella manovra di fine anno che, di fatto, ricalcano quelle già bocciate nel 2013 dalla Corte costituzionale per la menomazione «dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione dei soggetti passivi» colpiti dalla sforbiciata.
Il testo prevede per gli assegni superiori a 14 volte il trattamento minimo dell’Inps (91.250 euro) un contributo di solidarietà del 6% la parte eccedente tra le 14 volte e le 20 volte, del 12% per quelle fino a 30 volte e del 18% per le pensioni che superano tale soglia. Il taglio, scattato il primo gennaio 2014, resta in vigore fino al 2016.
La legge di Stabilità, rispettando l’autonomia degli organi costituzionali, non impone nulla a Camera e Senato. Ma i presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama hanno subito accolto l’invito, spiegando che dall’applicazione della misura deriverà un risparmio di circa 8milioni e 375mila euro l’anno. Molti parlamentari hanno storto il naso, ma nessuno, ovviamente, ha ritenuto opportuno fiatare. Finché gli ex dipendenti non hanno offerto su un piatto d’argento l’opportunità di risolvere il fastidio senza esporsi più di tanto.
La strada non era proprio in discesa. Nell’ordinanza del 10 dicembre 2014, notificata l’11 marzo, la Commissione giurisdizionale (formata dai deputati Francesco Bonifazi, Fulvio Bonavitacola ed Ernesto Carbone, tutti del Pd) ammette che c’è qualche problemino giurisdizionale. La questione, scrivono, «non potrebbe essere direttamente sindacata dalla Corte costituzionale» e «neppure dalla Commissione» della Camera, perché la legittimità costituzionale delle leggi spetta comunque alla Consulta. Però, essendo «parimenti inammissibile che le doglianze dei ricorrenti restino indefinite», alla fine i «giudici» della Camera decidono comunque di mandare tutto il pacchetto alla Corte.
E qui la beffa e dietro l’angolo. La Commissione giurisdizionale si sofferma, ovviamente, sulla somiglianza tra il contributo di solidarietà voluto da Letta e quello già bocciato dalla Consulta, sostenendo la non manifesta infondatezza della questione di legittimità per quanto riguarda il comma 486 della legge di Stabilità. Ma nel mirino di Montecitorio c’è anche il comma 487, che riguarda solo le pensioni erogate dagli organi costituzionali, compresi i vitalizi ai parlamentari. Mentre il ricavato dal taglio ai comuni mortali, proprio per tentare di aggirare la bocciatura della Corte, è riversato nel sistema previdenziale, ad esempio per gli esodati, il comma 487 stabilisce che i risparmi defluiscano nel Fondo di garanzia per famiglie e imprese, quindi nel bilancio dello Stato. Cosa che potrebbe far ricadere il contributo sotto la scure della Consulta. Il risultato paradossale è che l’eventuale accoglimento del ricorso degli ex dipendenti si porterebbe sicuramente dietro i parlamentari, che oltre a percepire molto più di quanto versato, come Libero sta svelando in questi giorni, si vedrebbero anche restituire dei soldi, ma potrebbe lasciare fuori tutti gli altri cittadini, le cui somme sottratte sono redistribuite ad altri pensionati.
© Libero