giovedì 5 agosto 2010

Unicredit caccia 4.700 dipendenti

L’avanzata di Gheddafi, lo scivolone sui conti, le tensioni con i sindacati sugli esuberi. Non è un’estate facile quella di Alessandro Profumo, che esce da un inverno altrettanto travagliato. Passato a battagliare con i soci, principalmente le Fondazioni, e la politica, principalmente la Lega, per far digerire il progetto della Banca unica. Ed è proprio su One4C, il piano di accorpamento in Unicredit delle cinque società controllate, che si profila ora la grana più grossa. Non è un caso che i vertici di Piazza Cordusio abbiano aspettato fino all’ultimo via libera definitivo (arrivato all’unanimità dal cda di martedì) per alzare il velo sulla bomba esuberi. Separare gli aspetti tecnico-organizzativi dai tagli era probabilmente l’unico modo di far arrivare in porto il progetto. La strategia ha permesso all’ad di Unicredit di sciogliere i nodi legati alle resistenze di alcuni grandi soci e di ottenere persino il consenso di massima dagli stessi sindacati.
Che il problema, prima o poi, dovesse essere affrontato era però chiaro. Già lo scorso novembre, quando la banca unica muoveva i suoi primi passi, si era rumoreggiato di un blocco di esuberi tra le 6 e le 7mila unità. Ieri, con il traguardo del primo novembre (data di partenza del progetto) bene in vista, è arrivato il verdetto definitivo:  il piano richiede il sacrificio di 4.700 posti di lavoro nel triennio 2011-2013.
Una mazzata per i sindacati, che hanno subito denunciato l’effetto Marchionne. «Delle due l’una», ha tuonato il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, o Profumo pensa di farsi un contratto nazionale a parte oppure ha deciso di imporre al settore del credito il modello organizzativo che ha presentato alle organizzazioni sindacali». Il risultato è la promessa, per settembre, di «un aspro e duro confronto» su un modello «che dal 2007 ad oggi ha prodotto la fuoriuscita dal gruppo di 10mila lavoratori». In campo, vista l’entità dei tagli, è pronto a scendere anche il governo. Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha bloccato preventivamente qualsiasi blitz sui tagli. «Sarà doveroso un confronto approfondito e sono vietati in tutti i modi atti unilaterali», ha detto.
Le cose non vanno molto meglio sul fronte societario. All’indomani di una semestrale poco entusiasmante (con utili in calo e sofferenze in aumento) è arrivata un’altra notizia che non mancherà di suscitare polemiche. I libici sono diventati ufficialmente il primo socio di Unicredit. Ieri la Libyan Investments Autorithy, il braccio finanziario di Gheddafi, ha annunciato di aver portato la partecipazione sopra il 2%, facendo così lievitare l’intera compagine libica intorno al 7%, visto che la Banca Centrale Libica e la Libyan Arab Foreign Bank già sono titolari di un 4,98%. Se a queste percentuali si aggiunge il 4,99% detenuto dal fondo Aabar di Abu Dhabi, la quota complessiva in mano a operatori legati al mondo arabo sale al 12%. Cifra che non farà piacere ad alcuni esponenti della Lega, che già avevano sollevato con forza il problema del collegamento tra banca e territorio proprio in occasione dell’ingresso di Aabar. Anche l’autunno, per Profumo, si preannuncia molto caldo.

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