giovedì 12 agosto 2010

Marchionne denuncia i tre licenziati

Non ha alcuna intenzione di incassare il colpo, Sergio Marchionne. Appena ricevuta copia dalla cancelleria della sentenza con cui il giudice del lavoro di Potenza ha stabilito il reintegro dei tre operai di Melfi (due dei quali rappresentanti della Fiom) licenziati, il Lingotto ha fatto sapere che presenterà ricorso «nel più breve tempo possibile». E teatro dello scontro non saranno solo le aule del tribunale civile. La Fiat ha infatti ricordato che «su questi stessi fatti è stata presentata una denuncia in sede penale».
Una mossa preventiva e probabilmente prudenziale che ora si rivela però preziosa, visto che il magistrato del lavoro ha deciso di spostare l’oggetto del contendere dal piano formale a quello sostanziale dello svolgimento dei fatti.
 La tesi sostenuta dal giudice Emilio Minio è infatti che il carrello robotizzato che ha provocato l’interruzione della produzione non si bloccò per un atto di sabotaggio, ma perché il «bumper» incontrò un ostacolo. Per la precisione, scrive il magistrato, «quando gli scioperanti si sono riuniti in assemblea nei pressi del carrello, questo ultimo era già fermo ed i lavoratori erano ad una distanza superiore a quella necessaria per l’attivazione del radar». Di conseguenza, si legge nella sentenza, «gli scioperanti non ebbero il deliberato intento di arrestare la produzione».
Non essendoci dolo, il licenziamento deciso dalla Fiat si caratterizza come una «sproporzione disciplinare» e si configura inevitabilmente come un comportamento antisindacale, considerato che i fatti alla base dell’espulsione «sono maturati nel corso di un’astensione dal lavoro per ragioni economiche-produttive e che il licenziamento ha interessato attivisti e militanti della Fiom, organizzazione notoriamente protagonista di una serrata critica sindacale al gruppo medesimo». In gioco, insomma, non c’è solo il tentativo di Marchionne di stabilire che la musica è cambiata e che una minoranza di lavoratori non può decidere anche per gli altri provocando il blocco della produzione, ma c’è la credibilità stessa dell’azienda che avrebbe, secondo quanto sostiene il giudice, falsificato la realtà per punire gli operai ribelli.

Il quadro istruttorio
Una versione dei fatti che il Lingotto è pronto a contestare in tutte le sedi, compresa a questo punto quella penale, dove la ricostruzione dovrà essere necessariamente più puntuale e minuziosa rispetto a quella svolta dal collegio monocratico del tribunale del lavoro. La decisione del giudice, si legge infatti in una nota della Fiat, «non appare coerente con il quadro istruttorio già emerso, pur nella sommarietà degli accertamenti condotti». La società è assolutamente convinta di «aver offerto prove incontrovertibili del blocco volontario delle linee di montaggio, che ha determinato un serio pregiudizio per l’azienda costringendola ad assumere doverosi atti di tutela della libertà di tutti i lavoratori e della propria autonomia imprenditoriale».
Sul piano tecnico i reati di cui potrebbero essere considerati responsabili i tre operai licenziati il 14 luglio rientrano presumibilmente nei “delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio”. In particolare, l’articolo 513 del codice penale prevede che “chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l’esercizio di un’industria è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni”.
Le carte dovranno essere scoperte prima di quanto s’immagini. Già per il 23 agosto, ad esempio, si preannuncia un altro round, visto che è quella la data in cui secondo il giudice di Potenza i tre operai dovrebbero essere reintegrati.
Quali che siano gli sviluppi giudiziari una cosa è certa: la vicenda non farà che alimentare lo scetticismo che Marchionne non ha mai nascosto sulla capacità dell’Italia di poter garantire alla Fiat un contesto adeguato per ottenere quegli aumenti di produttività richiesti dal mercato nazionale e internazionale.

Sindacati spaccati
Non è un caso che Cisl e Uil si siano affrettate a puntare il dito contro l’irrigidimento della Fiom sostenendo che il ricorso della Fiat è un atto dovuto che non procurerà alcuna tensione nei rapporti sindacali col Lingotto. Il caso ridà comunque forza alle tute blu della Cgil, che ora possono gridare al complotto e alla ritorsione sventolando il decreto esecutivo del tribunale di Potenza.
 A gettare acqua sul fuoco sono invece gli stessi operai, che fondamentalmente sperano di poter tornare al lavoro. «È stato un mese difficile», dice il delegato della Rsu, Giovanni Barozzino anche a nome dei due colleghi Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, «siamo convinti che giustizia sia stata fatta e ora vogliamo solo tornare al nostro posto di lavoro, senza alcuna voglia di rivalsa».
Anche il giuslavorista Pietro Ichino tenta di smorzare i toni invitando tutti a mantenere il confronto legato «al singolo episodio disciplinare». Di sicuro non sembra il modo migliore per iniziare la sfida non solo industriale, ma anche culturale e politica della Fabbrica Italia voluta da Marchionne.

© Libero