martedì 16 giugno 2009

Schifani come Fini: governo troppo lento

Non bastava Gianfranco Fini. Ora a stuzzicare il governo ci si mette pure Renato Schifani. Finora il presidente del Senato aveva evitato di tirare troppo la corda. Ma ieri la seconda carica dello Stato, seppure con garbo e diplomazia, ha deciso di marcare la differenza. Dalla crisi usciremo a testa alta, ha detto, ma senza riforme (a partire dalle pensioni) non si va da nessuna parte. E il governo non sembra ancora avere messo il piede sull’acceleratore.A fornire l’occasione per pungolare Palazzo Chigi è stato il convegno dei giovani di Confindustria a Santa Margherita Ligure. A loro Schifani ha rivelato la piena sintonia con la presidente Emma Marcegaglia, ma anche col governatore di Bankitalia, Mario Draghi, quando chiedono il cambio di rotta per evitare che le conseguenze della crisi si abbattano sui più deboli, sui lavoratori e sulle piccole imprese. «Le dure cifre sulla disoccupazione e la distribuzione delle attività economiche sul territorio ci testimoniano ogni giorno la necessità di porre mano alle grandi riforme», ha incalzato il presidente di Palazzo Madama, aggiungendo che l’Italia «ha una crescita inferiore ai partner europei». Per questo, «le riforme sono divenute necessarie ed urgenti. Per colmare questo divario e per evitare le conseguenze della crisi sui lavoratori». Pensioni, ammortizzatori sociali, liberalizzazione dei servizi, giustizia e università sono le novità che servono. E nessuno è autorizzato a tirarsi indietro. «Tutti siamo chiamati ad affrontare questo obiettivo», ha spiegato. E se è ovvio che «il governo valuterà tempi e modi delle riforme, che sono diversi da quelli dell’imprese», questo non significa che ci si possa fermare a tirare il fiato. Soprattutto sui temi più delicati. L’innalzamento dell’età pensionabile, ad esempio, su cui il governo tentenna con continui stop and go (l’ultimo no categorico è arrivato dal ministro Giulio Tremonti), «appare improcrastrinabile», anche se deve avvenire «con l’accordo di tutte le parti». Così come non può più aspettare il piano per il Sud. «Rinnovo al governo e alle Regioni del Mezzogiorno», ha detto, «l’appello già rivolto di recente a cooperare per la definizione di un concreto e responsabile Piano per il mezzogiorno». Poi il presidente del Senato ha posto l’accento sull’importanza delle Pmi. Soprattutto «quelle giovani, che hanno una funzione che investe il punto di vista sociale e sono quelle che possono e devono grandemente contribuire alla ripresa». Sulla ripresa Schifani si allinea con l’ottimismo di Silvio Berlusconi, sostenendo che «siamo un grande Paese e che usciremo dalla crisi a testa alta», ma non senza ricordare che «l’Italia deve essere modernizzata». Poi, in sintonia con Fini, è tornato a difendere la riforma del Parlamento, che non punta a un «depotenziamento», ma «a rendere i suoi lavori più spediti e razionali». Il che si traduce «in maggiore autorevolezza e potere reale per quello che tutti consideriamo il tempio della democrazia».Infine, l’ultima staffilata. Ai quattro fattori D che frenano lo sviluppo, cioè debito pubblico, divario Nord-Sud, deficit energetico e differenziale fiscale con gli altri Paesi, ne va aggiunto un quinto: il fattore donne. L’Italia, ha ricordato Schifani, «è il paese europeo con la percentuale più bassa di donne che lavorano, il 47,2% contro una media Ue del 59,1%. Per iniziare, ha concluso, basterebbero «pochi interventi: nuove regole di organizzazione del lavoro, dei periodi e degli orari negli uffici pubblici, degli asili, delle scuole».

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