venerdì 5 giugno 2009

C’era una volta il triangolo industriale

Che la crisi economica si fosse abbattuta con violenza sull’Italia è cosa nota. L’Istat ha diffuso alcuni mesi fa i dati sul pil nel 2008 (calato dell’1%) certificando una recessione che non si vedeva dalla metà degli anni ’70. Con picchi trimestrali negativi che ci portano indietro fino alle prime serie storiche, cioè da quando i tecnici dell’Istituto nazionale di statistica si prendono la briga di fare due conti sulla nostra economia.

Quello che ancora non si sapeva è chi ha preso più bastonate. Così, a naso, gli occhi della maggior parte di noi sarebbero andati subito verso il basso. Se il fieno viene a mancare è inevitabile che a farne le spese sia chi ne ha meno in cascina. E in effetti il Mezzogiorno sta pagando a caro prezzo il passaggio del ciclone economico-finanziario, con aumenti robusti di una disoccupazione già alta e difficoltà enormi per le imprese già in affanno.

Calvinisti e lumbard

Ma ad uscire veramente con le ossa rotte dalla crisi non è tanto il Sud pigro, burocratizzato e arretrato. E, udite udite, neanche i sudditi piacioni e indolenti di Roma ladrona. No, a soffrire di più gli effetti della recessione è stato il Nord operoso, moderno e iperattivo. Quello verso Ovest in particolare, regno degli instancabili lumbard e del calvinismo piemontese. Piaccia o no ai leghisti dalle scarpe grosse e dalla vivace partita Iva, è qui che i colpi della frenata dell’economia si sono fatti sentire con più intensità.

Le spiegazioni sono tante, a partire da quella più banale e scontata per cui se ad essere colpita maggiormente colpita dalla recessione è l’industria, è inevitabile che dove ce n’è tanta il contraccolpo sia sonoro. Ma fa comunque impressione assistere alla frenata del motore d’Italia, al passo falso di quel triangolo industriale Milano-Torino-Genova che dagli anni ’50 ad oggi non si era mai fermato rendendo possibile il miracolo economico e avvicinando il Paese all’Europa. Eppure, i dati parlano chiaro. Rispetto ad una media nazionale del -1% nel 2008, secondo i dati diffusi ieri dall’Istat, a resistere meglio è stato il Centro (-0,8%) seguito dal Nord Est (-0,9%). C’è poi il Sud (-1,3%) che, come noto da sempre, non se la passa troppo bene.

E infine il clamoroso dato del Nord Ovest, dove il pil è sceso più in basso (-1,1%) di quello nazionale. Tra le cause, certamente, la marcata caduta del comparto industriale, il cui valore aggiunto è crollato nel 2008 in maniera rilevante del 3,3%.

Pmi in frenata

Ma la responsabilità della frenata non va ricercata solo nella grande impresa. Anzi, la realtà è che tra le triangolazioni sindacato-governo-Confindustria a restare schiacciate dalla crisi sono state principalmente le Pmi, che rappresentano il 99% del tessuto produttivo del nostro Paese. «È inevitabile», spiega il presidente di Confapi, Paolo Galassi, «che la crisi della piccola e media industria manifatturiera abbia pesanti ripercussioni sul Pil, soprattutto nel Nord dove è storicamente più radicata e florida».

Il problema ora è il futuro. Ieri la Banca centrale europa ha tagliato ulteriormente le stime su Eurolandia, prevedendo per l’anno in corso un pil a picco, tra il -4,1 e il -5,1%. Mentre il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, solo qualche giorno fa ha previsto per l’Italia un prodotto interno lordo in caduta del 5%. Se tanto ci dà tanto, quella contrazione si farà sentire ancora in maniera robusta sul Nord Ovest se il sistema non si rimetterà in moto. E dopo aver letto i dati Istat appare chiaro che per far ripartire l’Italia non basterà aiutare il Sud.

il sud della retorica

Se c’è un elemento positivo nella fotografia scattata dagli esperti dell’Istituto è che quei numeri dovrebbero spazzare via la vecchia retorica meridionalista che considera il gap tra il Nord e il Mezzogiorno come l’unica vera piaga italiana. Ora in difficoltà c’è anche il triangolo industriale, con le sue aziende nazionali e con le sue piccole imprese che, come dice Galassi, «denunciano cali di fatturato tra il 30 e il 70%».

Il punto, continua il presidente di Confapi, è «che non ci sarà una ripresa senza la volontà di costruire le basi della ripresa, con misure concrete a sostegno della struttura produttiva nazionale». Già, perché anche sulla produttività se il Mezzogiorno ha fatto segnare un -0,5%, il Nord Ovest è invece calato dell’1,1%.

La buona notizia è la resistenza dell’agricoltura. Che è cresciuta in tutte le aree d’Italia, compreso il Nord Ovest, dove il valore aggiunto agricolo è aumentato dell’1,3%. Si tratta di un fattore antirecessione di cui bisognerà tenere conto per organizzare la ripartenza.

libero-news.it