sabato 20 giugno 2009

Il Senato accelera sui sindacalisti in cda

Ve lo immaginate Guglielmo Epifani nel cda della Fiat? L’ipotesi non è così inverosimile. Sul tema della partecipazione dei lavoratori all’impresa c’è chi in Parlamento e al governo sta lavorando seriamente. La questione è un vecchio pallino del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che l’ha rilanciata subito dopo l’insediamento del nuovo esecutivo. Il dibattito è poi proseguito più o meno silenziosamente fino al recente congresso della Cisl, dove Sacconi è tornato all’attacco, raccogliendo il consenso di Bonanni e la timida apertura della presidente di Confindustria, Marcegaglia. Ora il dossier ha ricevuto un’improvvisa accelerazione. Il Senato ha ripreso in mano il pacchetto di disegni di legge targati Pdl e Pd. L’obiettivo è sfornare un testo unico prima dell’estate.
All’operazione stanno lavorando congiuntamente le commissioni Lavoro e Finanze. Uno dei relatori, Pietro Ichino, ha già preparato un bozza comune che riassume i principali ddl firmati da Treu, Bonfrisco, Castro, Adragna. Il percorso dovrebbe essere favorito dal sostegno promesso da Sacconi. «Il governo», ha detto, «ha la volontà di accompagnare con la migliore tempestività la riforma». Ma la materia è delicata e i nodi da sciogliere sono tanti. Sul tavolo ci sono diverse opzioni. Da quelle più light, che limitano la partecipazione al piano economico, a quelle più incisive, che ipotizzano un ingresso nelle stanze dei bottoni. Il confine è sottile. Molti ddl prevedono di conferire ai lavoratori “poteri di impulso e di vigilanza in materia di pari opportunità, di salute e di sicurezza”. Ma c’è anche chi pensa alla possibilità di controlli sul bilancio e a una presenza diretta nel consiglio di sorveglianza (che decide gli indirizzi strategici e ha il potere di revocare i manager) nel caso di imprese con governance duale. Alla mente vengono i modelli Chrysler e GM, dove i fondi dei lavoratori controllano quote azionarie tra il 40 e il 50% e siedono nei cda. Una prospettiva che, conoscendo il grado di conflittualità e di rigidità del nostro sindacato, qualche brividuccio lo fa venire. «Nessuno ha in mente il modello Usa», rassicura la senatrice Cinzia Bonfrisco. «L’obiettivo è arrivare ad una evoluzione della bilateralità già prevista dalla legge Biagi per aumentare il grado di trasparenza e diminuire il livello di conflittualità. Per far questo penso principalmente a una partecipazione finanziaria attraverso i fondi pensione e forme di controllo su sicurezza e pari opportunità». Insomma, si tratterebbe di favorire la complicità tra aziende e lavoratori «senza sconfinare nella cogestione».
È cauto Giuliano Cazzola, che alla Camera ha presentato una proposta simile: «Bisogna intendersi sul ruolo dei sindacati, che dovrebbero rimanere fuori per lasciare spazio a rappresentanze aziendali. Per me l’idea da portare avanti è un allargamento delle stock option dai manager a tutti i dipendenti». Più scettico Benedetto della Vedova, che si dice disponibile alla discussione, purché il presupposto sia quello della non obbligatorietà, ma ritiene che «nessuna delle due emergenze attuali, e cioè rilanciare la produttività e alzare il livello dei salari, possa trarre beneficio dall’introduzione di elementi farraginosi di compartecipazione o cogestione».

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