domenica 14 agosto 2016

Mutui fermi e interessi doppi. Così le banche vessano i poveracci

Non ci sono solo i finanziamenti «baciati» (prestiti vincolati all’acquisto di azioni), l’azzeramento improvviso dei titoli o le nuove regole del bail in a mettere a rischio i soldi dei risparmiatori. Anche senza trovarsi coinvolti in una vera e propria truffa o in un’inaspettata bancarotta i clienti degli istituti di credito continuano a doversi districare in un labirinto di trappole contrattuali e a dover fronteggiare una serie di costi fissi che erodono il capitale e assottigliano i potenziali guadagni.

Malgrado l’insistenza con cui le principali banche continuano a pubblicizzare i propri prodotti a zero spese mantenere un deposito senza cacciare un euro è ancora un’impresa quasi impossibile. Secondo l’ultima Indagine annuale sul costo dei conti correnti pubblicata da Bankitalia lo scorso dicembre la spesa media di gestione dei rapporti bancari nel 2014 è, seppure di poco, aumentata ancora a 82,2 euro (+0,3 euro). Un incremento dovuto principalmente al rincaro delle spese per le carte di credito che si è mangiato il taglio dei costi sull’invio dell’estratto conto e sul canone di base. Le spese diminuiscono molto nei prodotti on line, a causa dell’azzeramento quasi totale dei costi di intermediazione. Ma al di là del fatto che il 28% degli italiani, secondo le ultime rilevazioni dell’Agcom, non usa internet, anche qui le cose stanno rapidamente cambiando. I costi che le banche hanno dovuto sopportare negli ultimi mesi a causa della bufera che ha travolto l’intero sistema e l’impatto dei tassi zero  che sta riducendo i margini di redditività degli istituti, stanno pian piando arrivando sulla testa del correntista.

E se il canone di base resta a zero, non accade la stessa cosa per le spese accessorie a cui le banche vincolano l’operatività del conto. A lievitare di più sono i costi delle carte di credito e di debito e quelli legati al conto titoli per il trading. Con una plateale penalizzazione per i clienti più fedeli. Sempre secondo Bankitalia i conti aperti da almeno 10 anni costano il 20% in più del costo medio (97,5 euro), mentre quelli sottoscritti da un anno costano il 36% in meno (52,7 euro). Il suggerimento per risparmiare sarebbe quello di cambiare frequentemente il conto. Malgrado i numerosi interventi legislativi, però, l’operazione non è ancora agevole. Dal 2015 la normativa prevede il trasferimento del conto a zero costi in 12 giorni lavorativi. Le banche, però, in assenza di esplicita richiesta continuano a prospettare al cliente solo la vecchia chiusura del rapporto, con tempi più lunghi e alcuni costi vivi che spuntano a sorpresa.

Tra le novità con cui il correntista ha dovuto fare i conti negli ultimi mesi c’è l’azzeramento degli interessi attivi, che non va più a compensare le spese. Il fenomeno potrebbe sembrare positivo per chi deve soldi alla banca. Ma non è così. L’azzeramento infatti non si è riprodotto sugli interessi passivi. Chi ha sottoscritto un contratto di mutuo o un prestito può facilmente verificare che i tassi non solo non scendono  in territorio negativo ma non si avvicinano neanche allo zero. La maggior parte delle banche  inserisce nei contratti di finanziamento il cosiddetto floor o tasso base, per cui anche in caso di tassi di riferimento (per i mutui l’Euribor)  piatti l’interesse da corrispondere all’istituto non può mai scendere sotto la soglia dello spread stabilito in fase di sottoscrizione.

Va incontro ad insidie maggiori chi non riesce ad essere in regola con i pagamenti di un prestito o chi si trova con il conto in rosso. Dopo anni di battaglie e polemiche che sembravano chiuse nel 2014 con l’abolizione totale della pratica, l’anatocismo (il pagamento degli interessi sugli interessi) è infatti rientrato dalla finestra grazie ad una pasticciata riscrittura del dl banche. L’emendamento al decreto presentato dal Pd, Sergio Boccadutri, e approvato dalla Commissione Finanze della Camera nel marzo scorso, pur introducendo una serie di garanzie a tutela dei consumatori, ha anche previsto che in alcuni casi gli interessi passivi possono essere capitalizzati e produrre nuovi interessi.
La norma è stata recepita qualche giorno fa in una delibera del Cicr (il comitato interministeriale presieduto dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan) in cui si legge che «il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale». L’autorizzazione (che sarà presumibilmente inserita dalle banche come clausola contrattuale) può essere revocata, ma prima che l’addebito abbia avuto luogo. Occhio alla scadenza: gli interessi passivi vengono conteggiati il primo marzo di ogni anno.

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