giovedì 16 febbraio 2017

Stato banchiere coi nostri soldi: 5 miliardi per gli istituti veneti

Che i soldi di Atlante erano finiti lo si era capito da un pezzo. Così come si è intuito che il fabbisogno di capitale delle due ex popolari venete sta lievitando giorno dopo giorno. Senza dare troppo clamore alla vicenda, ad ammettere la necessità di un soccorso pubblico per Veneto Banca e Pop Vicenza è stato qualche giorno fa lo stesso Alessandro Penati, patron del fondo Quaestio Sgr che controlla, attraverso Atlante, circa il 99% delle due banche. Finora, però, sembrava che in ballo ci fosse un piccolo aiutino. Magari con l’eventuale sottoscrizione da parte del Tesoro delle quote di aumento di capitale non coperte dai privati.

Il quadro che si sta pian piano delineando, però, sembra la fotocopia dell’affaire Mps. Anche a Siena, finché non sono arrivati i numeri ufficiali che hanno decretato il fallimento dell’operazione di mercato, il management continuava a sostenere che la banca ce l’avrebbe fatta da sola. E così come è successo col Montepaschi, anche in Veneto sembra che lo Stato, ovvero i contribuenti, dovrà caricarsi tutto il peso del salvataggio, diventando socio di maggioranza delle due banche. L’ipotesi, non confermata ma neanche smentita, è circolata martedì sia sulle pagine del Financial Times sia sui dispacci della Reuters. Secondo alcune fonti vicine al dossier, l’Italia starebbe già negoziando con le autorità europee una ricapitalizzazione precauzionale da 5 miliardi. «Non commento casi specifici», si difeso ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, limitandosi a ricordare che per l’intervento dello Stato «è necessario che ci sia una richiesta spontanea degli istituti che ritengando di volersene avvalere».

La trattativa con la Ue sarebbe parallela a quella che stanno conducendo le due banche sul piano di fusione e ricapitalizzazione presentato qualche giorno fa dall’ad Fabrizio Viola ai cda. Da questo confronto dovrà emergere la cifra esatta del fabbisogno di capitale necessario, anche alla luce della prevista operazione di pulizia delle sofferenze e incagli con l’eventuale ausilio di una bad bank. Finora si è parlato di 3-4 miliardi. Cifra che potrebbe scendere se gli ex soci «azzerati» aderiranno in massa all’offerta di rimborso, finora accettata solo dal 32% della platea. Ma qualunque sia l’importo è chiaro che Atlante, con buona pace della mitologia, non potrà sopportare sulle spalle il peso dell’operazione. Il fondo ha già investito 2,5 miliardi per salvare le due banche in occasione della fallita Ipo e ha messo sul piatto pure 938 milioni per future ricapitalizzazioni. In pancia, considerando la dotazione iniziale di poco più di 4 miliardi, sono rimasti solo gli spiccioli. E poco potrà fare Atlante due, che in teoria sarebbe destinato solo ad investire sullo smaltimento delle sofferenze.

Il secondo veicolo di Queastio sgr ha una dote di 1,7 miliardi. Ed è difficile, malgrado il progetto iniziale che parlava di una raccolta obiettivo di 2,5-3 miliardi, che possa rastrellare altri fondi sul mercato, visto che tutte le banche azioniste di Atlante uno stanno già svalutando le loro quote in bilancio del 24%, così come consigliato da Deloitte. Allo stesso modo è assai improbabile che qualche investitore privato che abbia la testa sulle spalle trovi il coraggio di gettarsi nel buio di un progetto dalle probabilità di riuscita così scarse. In Italia c’è poca «lungimiranza», ha detto Penati qualche giorno fa, criticando l’aria di smobilizzo intorno ad Atlante. E ieri anche il segretario dell’Ocse, Angel Gurria, ha assicurato che «in un periodo di due, quattro, sei mesi ci saranno risultati positivi e la questione delle banche non sarà più sul tavolo».

Ma anche se il peggio fosse alle spalle, i precedenti sono troppo vivi nella memoria per poter affrontare l’investimento senza mettere in conto un fallimento. Così, non resta che lo Stato. Che dopo aver impegnato 8,8 miliardi per Mps sembra ansioso di spendere anche la restante quota di debito pubblico rimasta nel fondo salvabanche da 20 miliardi. La giostra, se il piano si concretizza, sarà più o meno la stessa. Anche per quello che riguarda la conversione dei subordinati e la valutazione delle azioni non quotate. Le modalità sono quelle stabilite dal dl salvabanche che, non a caso, il governo ha voluto approvare in fretta con una doppia fiducia lasciando a bocca asciutta chi, come le opposizioni, chiedeva più trasparenza.

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