Chi ha lavorato al suo fianco lo definisce serio, preparato e competente. Anche se il biglietto da visita più recente del successore di Graziano Delrio è legato ad una clamorosa gaffe sulle partecipate. «Il governo metterà sul mercato una quota di Eni seguendo la stessa procedura adottata per Enel», ha annunciato il viceministro dello Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, lo scorso 17 marzo. Una dichiarazione al fulmicotone, che non ha intralciato una buona giornata di Borsa del Cane a sei zampe, ma ha costretto il ministero dell’Economia ad una repentina smentita. Poco dopo è tornato sui suoi passi pure De Vincenti. «Intendevo riferirmi alle quote Enel già messe sul mercato», si è giustificato, lasciando il dubbio che dietro lo scivolone ci fosse un’ipotesi di lavoro sfuggita più che una semplice confusione.
Del viceministro ieri promosso da Matteo Renzi sottosegretario alla presidenza del Consiglio, infatti, nessuno ricorda la sbadataggine. Semmai la puntigliosità con cui da anni segue i dossier più spinosi del ministero, quelli relativi alle vertenze industriali. Una mole sterminata di tavoli (149 quelli ancora aperti fino allo scorso febbraio) su cui i funzionari del ministero si giocano spesso il sonno, con estenuanti trattative notturne, i dipendenti il posto di lavoro e i premier la popolarità. Basti pensare alla quantità di tweet e hashtag con cui la scorsa primavera Renzi ha inondato il web per sbandierare l’accordo chiuso con Electrolux.
Ma non è solo un debito di riconoscenza quello che ha consentito a De Vincenti di conquistare la delicata poltrona che fu del fedelissimo di Renzi. L’ex viceministro che già oggi, come ha annunciato il premier, parteciperà al suo primo Consiglio dei ministri, è allo Sviluppo dalla fine del 2011, come sottosegretario nel governo di Mario Monti. E lì è rimasto con Letta e lo stesso Renzi. Classe 1948, docente di Economia politica alla Sapienza, studioso di Marx e Sraffa collaboratore de Lavoce.info (fondata dal neo presidente dell’Inps Tito Boeri), De Vincenti è stato spesso definito un tecnico puro, ma la sua fede politica è granitica.
In un’intervista radiofonica del giugno 2012 confessò di avere la tessera del Pci dal 1972 e di avere poi confermato la sua appartenenza con il Pds, i Ds e il Pd. «A cui sono iscritto e che voto», disse. Il problema del premier era, però, quello di rompere lo schema del «giglio magico», della truppa tosco-renziana sulla tolda di comando. E qui il neo sottosegretario ha tutte le carte in regola. Fu Pier Luigi Bersani a segnalarlo a Monti e all’ex segretario Pd andò il voto alle primarie del 2012. Una vicinanza coltivata anche negli anni successivi con un’intensa collaborazione alle attività del Nens, il think tank gestito da Bersani e Vincenzo Visco.
Nelle ultime settimane, per mettere le mani avanti, i bersaniani hanno disconosciuto qualsiasi legame con De Vincenti. Ma non al punto di definirlo un renziano dell’ultima ora, come invece qualcuno ha sostenuto per Valeria Fedeli, la vicepresidente del Senato, anche lei di origini bersaniane, fino a due giorni fa in ballottaggio con De Vincenti. Qualcuno, come i grillini, ha già puntato il dito sul nuovo arrivato per un incontro, emerso dalle carte giudiziarie, con i vertici della cooperativa Concordia. Circostanza ammessa dall’interessato e senza alcun risvolto penale. C’è chi teme, piuttosto, un ritorno dello stile Fornero a Palazzo Chigi. Lo scorso dicembre, dopo la chiusura di una vertenza con la ex Iribus con 300 posti salvati, il viceministro si presentò in conferenza stampa e non riuscì a trattenere le lacrime.
In pieno area giglio magico invece resta l’altra nomina del minirimpasto. Il nuovo segretario generale di Palazzo Chigi è infatti Paolo Aquilanti, capo di gabinetto e fedelissimo del ministro Maria Elena Boschi.
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