Sforzi aggiuntivi nel 2014 e nessuna flessibilità sugli investimenti fuori bilancio. Per essere una prima volta, non è andata male. L’Ecofin guidato dall’esordiente Pier Carlo Padoan poteva anche proporre l’apertura di una procedura d’infrazione contro il nostro Paese. E invece si è limitato a bocciare su tutta la linea le richieste italiane, chiedendo in aggiunta una ulteriore correzione dei conti entro la fine dell’anno.
Qualcuno sostiene che in serata Matteo Renzi abbia commentato positivamente l’esito del vertice. Difficile da credere, considerati i risultati. Tanto più che da Bruxelles, in tempo reale, è arrivata anche la secca risposta alla proposta fatta ieri mattina dal premier di scorporare dal conteggio del deficit gli investimenti nel digitale. Il ministro dell’Economia, interpellato dai giornalisti, è caduto dalle nuvole: «Apprendo ora della dichiarazione del presidente del Consiglio». Chiarissime, invece, le idee del vicepresidente della Commissione Siim Kallas, che senza pensarci un attimo ha messo una pietra tombale sul suggerimento di Renzi e su tutte le speranze italiane: «Non può esserci spesa buona e spesa cattiva. Il debito è debito e tutta la spesa deve essere calcolata nel deficit». Il che sembra escludere categoricamente anche la possibilità, ventilata da Padoan come versione soft della flessibilità, di scorporare dal bilancio i cofinanziamenti dei fondi europei per lo sviluppo e le infrastrutture. Ultimo carro a cui erano appesi i tentativi del governo di evitare la tagliola europea sui conti pubblici nel prossimo autunno.
Su questo fronte, purtroppo, le cose sembrano mettersi peggio del previsto. L’Ecofin ha infatti confermato il via libera al documento della Commissione sulle raccomandazioni specifiche per i paesi con forti squilibri economici. Testo che per l’Italia prevede «sforzi aggiuntivi» nel 2014 e impone misure concrete nel 2015 per «raggiungere l’obiettivo di medio termine», ovvero quel pareggio di bilancio il cui slittamento al 2016 dovrà passare al vaglio anche del nuovo esecutivo Ue. Adesso, ha chiesto il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, «il ministro dell’Economia spieghi, al di là dei giri di parole, come farà ad evitare la manovra correttiva da 20-25 miliardi».
Sul piano formale Padoan ieri ha incassato il sostegno dell’Ecofin agli obiettivi proposti dalla presidenza italiana per un «rilancio di crescita e occupazione attraverso uno sforzo comune di riforme» e all’uso «della flessibilità già inserita nelle regole del Patto». Parole che non rendono fino in fondo il livello dello scontro. Il ministro ha auspicato che le regole europee «sostengano esplicitamente gli sforzi per le riforme» utilizzando «gli spazi insiti nel patto di stabilità», e ha considerato «indispensabile rafforzare gli incentivi a realizzarle». Ma il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha replicato che, anche se «gli obiettivi del governo italiano sono molto ambiziosi», in Europa si aspettano «i risultati delle riforme» avviate e «nessuno vuole la flessibilità per un paese, ma per tutti i paesi». Non meno tenero Wolfgang Schaeuble. Padoan in mattinata aveva tentato di smorzare le tensioni dichiarando la sua «piena sintonia» con il ministro dell’Economia tedesco. Ma Schaeuble ha voluto lo stesso ribadire che «le riforme strutturali non possono essere una scusa o un’alternativa al consolidamento fiscale».
L’unico motivo di consolazione per Renzi ieri è arrivato dalle miniaperture di Jean Claude Juncker, dovute chiaramente alla necessità di ottenere i voti dei socialisti europei per la nomina alla presidenza della Commissione. Il candidato del Ppe avrebbe infatti dato il via libera ad un commissario di centrosinistra per gli Affari economici e momentari. Ipotesi che sventerebbe il pericolo di trovarsi uno sceriffo europeo «rigorista» e filo-Merkel come Jyrki Katainen. Quanto allo schiaffo di Kallas sul digitale il premier avrebbe definito «miope» il suo atteggiamento.
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